Nel suo libro II codice dell’anima James Hillman sostiene che “nella vita di ogni uomo ci sono più cose di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa”.

Concordo pienamente con il suo pensiero. Credo che l’esistenza umana sia un’avventura così complessa e soggettiva da non poter essere classificabile in teorie universalmente valide per tutti. Siamo fatti di ossa e di carne, ma anche e soprattutto di quel quid ineffabile che amiamo chiamare anima e che caratterizza il personalissimo viaggio di ognuno su questa terra.

Ha qualcosa di magico il simbolismo che l’etimologia della parola “anima” racchiude in sé. Essa, infatti, deriva dal greco , “soffio, vento”. E proprio leggeri come aneliti di vento, i versi delle poesie di Paola De Marzo ci raccontano le storie dell’anima, tra luce e buio, stati di grazia ma anche cadute rovinose, costruzioni, illusioni, distruzioni e rinascite in quel ciclo infinito che gli antichi definivano metamorfosi.

Come piccole spinte ci accompagnano in un universo di colori, sensazioni, emozioni che gentili e delicate come ali di farfalla ci mostrano l’essenza di ciò che resta, una volta spogliata l’esistenza di futili orpelli. A volte la­sciandoci in dono languidi sorrisi, altre ancora gli occhi pieni di quella salsedine danzante per chi c’era e adesso è altrove, in quel limbo dolceamaro che chiamiamo ricordo.

Ricordandoci in ogni verso che sempre è sacro quel nucleo inviolabile e va onorato e celebrato perché, come diceva C. G. Jung, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo la vita è sprecata.