Presentazione del volume dal titolo
Divae Virginis Insulanae Cupersanensis historia
 
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La nuova traduzione
Archivio Diocesano - Conversano 27 feb.. 2020
 

 



 
 

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La nuova traduzione
Archivio Diocesano - Conversano 27 feb.. 2020
 
 

 

 

Divae Virginis Insulanae
Cupersanensis historia

vuotoIntroduzione, traduzione e note di Angelo Fanelli

Recensito per Scaffale da Francesco Saverio Iatta
  
Divae Virginis Insulanae Cupersanensis historia
Collana
Crescamus 28


La nuova edizione della traduzione del ‘Divae virginis’ di P. A. Tarsia   festeggia la pubblicazione del 28º volume dei ‘crescamus’
Frontespizio Divae

   

Viene festeggiata - con questa nuova edizione della traduzione del Divae virginis insulae cupersanensi historia di Paolo Antonio Tarsia - la pubblicazione del ventottesimo volume della prestigiosa collana di saggi, emblematicamente intitolata ‘crescamus’, che si valgono della cura di Angelo Fanelli: uno dei maggiori, noti e celebrati storici cittadini che ha, fra l’altro, il non affatto modesto merito di aver contribuito a rinnovare, con ben pochi altri, gli studi di storia cittadini. Studi un tempo – come è noto - purtroppo affidati alla buona volontà di un Sante Simone, un Giuseppe Bolognini e quindi poi di alcuni loro meno fortunati epigoni: cittadini e non.

Il primo volume dei ‘crescamus’ – una collana fortemente voluta dai presuli della diocesi di Conversano che si sono succeduti nel tempo – è stato pubblicato nell’oramai lontano 2003. E dal 2003, con la loro apparizione, i ‘crescamus’ hanno segnato altrettante tappe per le ricerche di storia cittadina. Ricerche che, grazie ai ‘crescamus’, non hanno mai dovuto combattere con l’imperante provincialismo che connota, invece, gran parte della pubblicistica che affolla le pagine delle nostre infelici gazzette.

La collana dei ‘crescamus’, infatti, ha accolto nel suo seno saggi che sono, oramai, divenuti dei veri e propri punti di riferimento. E che, per ciò, hanno permesso di rinnovare, a volte quasi dalle fondamenta, la ‘vecchia e superata’ storiografia cittadina di un tempo. Offrendo quindi, non solo ai conversanesi, contributi che si valgono del raffinato uso dei più sofisticati ferri del mestiere che offrono le odierne conquiste della storiografia.

I ‘crescamus’, infatti, vantano, tra i loro titoli più riusciti, contributi che hanno messo a disposizione dei ricercatori  ricostruzioni , per più versi, esemplari. Tra i ‘crescamus ‘, infatti, non mancano saggi che hanno, per primi, segnato l’inizio stesso di studi che addirittura mancano per alcune delle più note cittadine pugliesi che pur hanno, a volte, una storia ben più ricca di quella, pur esemplare, che hanno avuto Conversano e le sue genti.

Chi ha avuto modo di seguire gli appuntamenti dedicati agli ‘Incontri con la storia’ - promossi e fermamente voluti da Angelo Fanelli, volti a divulgare le conquiste ottenute con i ‘crescamus’ - ha già avuto modo di seguire, di persona, il felice, continuo affermarsi degli stessi quanto anche il loro progressivo imporsi nel panorama non solo cittadino. Panorama cittadino che risulta essere tutt’altro che asfittico.

Ora la pubblicazione del ventottesimo volume dei ‘crescamus’ segna un’ulteriore, significativa tappa. E questa contraddistingue, come non mai, non solo la sua longevità. Quanto anche la significativa continuità nel tempo che, quindi, rimarca la validità di una prestigiosa iniziativa che ha orami conseguito meriti che vanno ben al di là degli ristretti confini municipali. Infatti, a più d’uno dei ‘crescamus’, è stata rivolta un’attenzione che è andata ben al di là dei consueti riconoscimenti di prammatica. Non pochi ‘crescamus’, infatti, sono alla base di conquiste storiografiche che non si sarebbero potute realizzare senza aver dovuto tener conto dei risultati storiografici presenti in non pochi dei suoi prestigiosi volumi.

Le brevi note dedicate a segnalare la validità, oramai più che indiscutibile, dei ‘crescamus’ non ci può, però, esimere dal segnalare quali sono, almeno alcune, delle singolarità che offre la nuova pubblicazione della traduzione del ‘Divae virginis’ di P. A. Tarsia: stampato in Madrid, nel corso del 1648.

Il volume, infatti, si vale di una intrigante introduzione, quindi della traduzione e poi delle note di Angelo Fanelli. E, per ciò, è la ripubblicazione, quanto mai utile, di un volume oramai praticamente introvabile. Infatti la traduzione del ‘Divae virginis’ che propone il 28º volume dei ‘crescamus’ è la prima ed unica traduzione del ‘Divae virginis’ di P. A. Tarsia. Che è stata stampata, per la prima volta, in Castellana Grotte, presso la tipografia Pascale: nel corso del 1992.

La traduzione del ‘Divae virginis’ ha un suo particolare rilievo in quanto offre, fra l’altro, la traduzione del primo componimento letterario che si intrattiene a descrivere il rinvenimento ‘miracoloso’, in una grotta, che insisteva – e tutt’ora insiste - nella località oggi comunemente nota come l’«Isola». Grotta nella quale è stata rinvenuta un affresco che riproduce le fattezze della Vergine. Che, a sua volta, ha dato il nome al santuario che vi è stato eretto. Che è noto come ‘Complesso monastico di Santa Maria dell'Isola’.

Complesso nel quale, come è noto, vi è custodito, tra l’altro, il ‘Crocifisso nero’ al quale sono particolarmente devoti i conversanesi che, il giovedì santo mentre il ‘crocifisso’ percorre in processione le vie cittadine, accorrono a baciargli, reverenti, i piedi.

La riproposizione del testo del ‘Divae virginis’ (il cui testo è stato esemplarmente impaginato da Vincenzo Perillo: sicché si ha a disposizione il testo con a fronte la sua relativa traduzione) permette, anche, di leggere la prima, documentata biografia di Paolo Antonio Tarsia. E, oltre a mettere a disposizione la traduzione di un testo redatto nel latino del XVII secolo (e, per ciò, di non sempre facile decrittazione) il ‘Divae virginis’ ha, fra gli altri suoi singolari meriti, il pregio di fornire imprescindibili indicazioni sulla stessa produzione letteraria di P. A. Tarsia. Della quale, purtroppo, son giunti sino a noi, spesso, quasi solo alcuni titoli.

Questa nuova edizione del ‘Divae virginis’ è, inoltre, impreziosita da un dovizioso apparato iconografico. Si tratta di diverse riproduzioni (dovute a Rocco de Benedictis) inserite nel testo e/o proposte fuori testo. E quindi da un’Appendice nella quale Angelo Fanelli propone un suo saggio volto ad illustrare l’«Affresco del Cristo deposto del XVII secolo», che insiste nel complesso monastico di Santa Maria dell'Isola. Di recente restaurato a spese dei coniugi Maria e Gianni D’Accolti.

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Scheda bibliografica
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Autore Paolo Antonio Tarsia 
Introduzione, traduzione e note Angelo Fanelli 
Titolo Divae Virginis Insulanae Cupersanensis historia
Editore A.G.A. Alberobello
Prezzo s.p.i.
ISBN 978-88-9355-163-2
data pub. gennaio  2020 (pp. 152)
In vendita presso:
Emmaus - Conversano 
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Presentazione del volume dal titolo
La visita pastorale del vescovo Gennaro Carelli
a Conversano nel 1803
 
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Un vescovo tra rivoluzione e restaurazione
Archivio Diocesano - Conversano 21 dic.. 2018
 

 

 

La visita pastorale del vescovo Gennaro Carelli
a Conversano nel 1803
Un vescovo tra rivoluzione e restaurazione
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Breve estratto
  
La visita pastorale del vescovo Gennaro Carelli a Conversano nel 1803
Collana
Crescamus 26

             Un breve estratto per chi desidera avere qualche conoscenza

1. Prima di lui – il conversanese Gennaro Carelli – era già avvenuto tre volte che ecclesiastici di Conversano fossero stati nominati vescovi della loro stessa città. Una prima volta nel 1423, anno in cui all’arcidiacono della cattedrale di Conversano Antonio Domininardi era stato affidato il governo episcopale della sua città. Si era concluso appena da un quinquennio lo Scisma d’Occidente (1378-1417) che aveva visto avvicendarsi e intersecarsi in contemporanea sul seggio di Pietro tre successioni di papi di obbedienza romana, francese e pisana, con uguali riflessi delle tre obbedienze nella sede vescovile di Conversano, dove Stefano Alfano, già di obbedienza romana per aver ricevuto la provvisione da papa Bonifacio IX nel 1403, era passato a quella pisana ricevendo da papa Giovanni XXIII il 1412 l’incarico di collettore pontificio nelle diocesi pugliesi; con l’elezione di papa Martino V che pone fine a questa profonda lacerazione nella Chiesa, l’Alfano nel 1423 era stato riconfermato come nostro pastore.


L’arcidiacono Domininardi aveva dunque vissuto tutto il dramma universale e locale, e la sua persona doveva essere stata scelta da papa Martino V il 9 settembre 1423 come quella dell’autorità locale più consona con le sue indubbie qualità a sedare ogni eventuale rigurgito scismatico, a rappacificare definitivamente la compagine ecclesiastica e la comunità dei fedeli e a farle decollare nella fede.


Una seconda volta era accaduto nell’epoca in cui segniamo convenzionalmente la transizione dal Basso Medioevo all’età moderna. Il ventiquattrenne protonotario apostolico Donato Acquaviva d’Aragona, figlio del conte Giulio Antonio ucciso nel 1481 dai turchi nell’assedio di Otranto, il 3 dicembre 1498 riceve in amministrazione Conversano fino al compimento del 27° anno d’età, quando vi entra a pieno titolo come vescovo.


Ancora una terza volta era avvenuto che verso la metà del ’700 un conversanese era stato nominato vescovo della sua città, ma non proveniva, come si dice, e gremio capituli. Si trattava di Michele Tarsia, a cui papa Benedetto XIV aveva affidato il governo pastorale il 24 gennaio 1752. Era entrato nell’Ordine dei Pii Operai, aveva conseguito il titolo di dottore in utroque (ossia civile e canonico) alla Sapienza di Roma e per queste sue competenze giuridiche era stato cooptato dalla badessa del monastero di S. Benedetto di Conversano per difendere la giurisdizione nullius badessale contro le rivendicazioni del vescovo di Conversano. Quando poi diviene vescovo da avvocato badessale passa a diventare per così dire pubblico ministero della giurisdizione vescovile.


Ora sul finire del Settecento un arciprete nativo di Conversano viene scelto da Roma a guidare da vescovo la sua città. Era Gennaro Carelli al quale papa Pio VI volle dare la provvisione il 18 dicembre 1797. Nicola Vecchi infatti lasciava il governo pastorale di Conversano iniziato il 27 aprile 1792 e veniva trasferito a Teano il 18 dicembre 1797. Non conosciamo il motivo di questo trasferimento, ma certo doveva aver qui lasciato il segno della suo incisivo magistero soprattutto con il suo dotto Catechismo, se a distanza di diversi anni Giuseppe Antonio Tarsia dedica a lui e non già al conversanese Carelli le sue Memorie istoriche.


Infine alla sua morte, dopo quasi un biennio di sede vacante, a un altro conversanese Roma affiderà il compito di svolgere il ministero episcopale nella comunità della propria terra natale, scelto anche lui e gremio capituli in cui era primicerio: era suo fratello Nicola, nominato dal papa Pio VII il 21 febbraio 1820.

 

7. Breve conclusione. Queste linee descrittive e documentarie rapidamente abbozzate non definiscono certo tutta l’attività pastorale del nostro Carelli. Egli si pone con il suo episcopato proprio sul crinale del trapasso storico tra età moderna e quella contemporanea. È uomo del secolo dei lumi, è testimone delle rivoluzioni, quella giacobina in Francia, quella napoleonica nel regno di Napoli, e della restaurazione in Europa e nel regno di Napoli con le feroci epurazioni borboniche.


È l’angosciato spettatore dapprima dell’annessione dello stato pontificio da parte di Napoleone il 17 maggio 1809 e, in seguito all’immediata scomunica papale, dell’arresto di Pio VII e della sua prigionia in Francia fino alla caduta di Bonaparte, quando il 24 maggio 1814 gioisce per il suo rientro a Roma. Ecco perché le relazioni ad limina durante questo tempo a cominciare dall’episcopato di Nicola Vecchi fino alla relazione di Giovanni De Simone il 5 febbraio 1829 risultano del tutto assenti, registrando un ripetitivo formulario di impossibilità d’adem-pimento e la richiesta di ulteriore proroga: Il moderno vescovo di Conversano oratore umilissimo delle Eminenze Vostre espone che essendo per spirare la proroga accordatagli per visitare i sacri limini, e per trasmetter la relazione di quella Chiesa, e non potendo al presente adempire a tali pesi, supplica perciò per una benigna proroga, con la variante: Il vescovo di Conversano non ha potuto visitare la sua diocesi per l’invasione dei francesi nel regno di Napoli, supplica per una proroga a mandare la relazione dello stato della sua Chiesa visitare li sagri limini.


Ma proprio dai francesi s’irradia su questo suo incupito episcopato una luce che con un taglio dell’inestricabile nodo gordiano mette fine alla secolare giurisdizione badessale mediante il suddetto decreto murattiano del 2 maggio 1810 e consegna al vescovo la Terra di Castellana. Restava ancora pendente quella su Rutigliano, ma anche questa fu soppressa insieme a tutte le altre prelature inferiori che aveano giurisdizione quasi vescovile con decreto del 20 giugno 1811.


In tal modo dopo la giurisdizione estesa sul territorio di Putignano con la decretale di Benedetto XIV del 14 marzo 1743, l’episcopato conversanese aggregava tutte quelle città che hanno costituito la diocesi di Conversano fino al 1986, quando nella nuova geografia delle diocesi in Italia è stata unita a quella di Monopoli per costituire “un solo gregge sotto un solo pastore”.


Lungo il suo episcopato soprattutto dopo la restaurazione, il presule doveva aver avvertito anche a Conversano il malessere intellettuale contro il regime borbonico e poi forse colto anche i timidi fermenti di un “risorgimento” delle coscienze, che da anelito diverranno segni concreti per un’Italia una e indipendente; coscienze in tormento e che si troveranno così “fuori” della Chiesa, perché contrari al potere temporale dei papi e fautori di un ritorno di aderenza alle fonti evangeliche, e perciò in contrasto con l’intransigenza dell’alta e bassa nomenclatura clericale, che a sua volta esasperava uno spirito manicheo avverso a ogni novità, al punto da indurre papa Gregorio XVI a opporsi all’introduzione delle ferrovie nei suoi stati, perché con le comunicazioni rese più agevoli si poteva facilitare la diffusione delle idee liberali, come anche a impedire d’introdurre l’illuminazione a gas per timore di agevolare convegni notturni.


Si aprirà lungo questo secolo all’interno della Chiesa un’accesa dialettica tra cattolici intransigenti e cattolici liberali che rivendicavano libertà di coscienza, di pensiero e di culto, istanze bollate dal Sillabo del papa Pio IX e che solo nel concilio Vaticano II troveranno finalmente diritto di cittadinanza perché essenza stessa della Dignitatis humanae.


Infine non ci sono rimaste sue lettere pastorali che ci avrebbero consentito di cogliere le problematiche nella sua “vigna” diocesana e il suo conseguente taglio pastorale. Peraltro, dopo il sinodo tenuto e pubblicato dal vescovo Giuseppe Palermo nel 1660, dobbiamo aspettare fino al 1849 per una lettera pastorale, la prima, che Giuseppe Maria Mucedola rivolge a tutto il clero della diocesi.


In conclusione un vescovo ripetutamente trafitto dal dolore nel contesto storico in cui si dispiega il suo episcopato, e ripetutamente investito di esultanza per il ripristino giurisdizionale, un vescovo conversanese dedito alla sua città natale e alla sua plurisecolare diocesi con un amore del tutto particolare coniugato con quello che ogni pastore di estrazione geografica diversa nutre per la Chiesa nella quale viene inviato a prestare il suo umile servizio.

Angelo Fanelli
Scheda bibliografica
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Autore Angelo Fanelli 
Titolo La visita pastorale del vescovo Gennaro Carelli a Conversano nel 1803
Editore A.G.A. Alberobello
Prezzo s.p.i.
ISBN 978-88-9355-091-8
data pub. dicembre  2018 (pp. 72)
In vendita presso:
Emmaus - Conversano 
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