Medico volontario in Mozambico - Le Missioni Francescane
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Prefazione

  
Medico volontario in Mozambico - Le Missioni Francescane
Scopo della pubblicazione è la raccolta di fondi per dotare l'ospedale di Quelimane di strumenti sanitari per strappare alla morte tanti piccoli innocenti.

Questo mio scritto rappresenta il risultato di una esperienza umana e professionale, vissuta in Africa a contatto con i suoi drammatici problemi, di cui l'occidente, ricco ed opulento, dovrebbe farsi carico, come risarcimento storico delle sue responsabilità legate al periodo della dominazione coloniale, i cui misfatti sono all'origine della condizione di sottosviluppo e di povertà del continente nero.
Il periodo da me trascorso in Mozambico come pediatra volontario nell'ospedale di Quelimane è stato un'occasione unica ed irripetibile di conoscenza e di arricchimento spirituale, che sono stati anche frutto del contatto diretto con la realtà delle missioni francescane nella loro opera costruttiva e caritatevole a favore di quelle sfortunate popolazioni.
Nella prima parte di questo mio lavoro, scritta informa di diario, c'è la descrizione minuziosa dell'impegno missionario dei cappuccini baresi e trentini della Zambesia, di cui Quelimane è la capitale. Ma soprattutto ho riferito con toni spesso dolenti, giorno dopo giorno, le tappe di un percorso drammatico attraverso i gironi infernali della malattia e della miseria, che rappresentano le strozzature immanenti, insieme con la corruzione del ceto politico, del mancato decollo economico, sociale e culturale del continente africano, insieme con le sanguinose e distruttive guerre civili, che ne mettono a rischio la stessa sopravvivenza. Mi è sembrato doveroso, come debito di riconoscenza per l'accoglienza riservatami da parte dei padri cappuccini, presso i quali è trascorsa la mia permanenza in Mozambico, dedicare un intero capitolo alla storia della Chiesa cattolica e delle missioni francescane in questo paese dell'Africa, che con la loro opera alleviano le sofferenze e i bisogni delle persone più deboli e bisognose.
Come conclusione ho tracciato un breve schizzo dei momenti salienti della storia del Mozambico, dal giorno in cui vi approdò il grande navigatore portoghese Vasco da Gama, nel 1497.
Approfitto di questa prefazione per sviluppare una mia riflessione sui problemi più complessivi, che investono le questioni emergenti dei rapporti tra l'Africa e il mondo industrializzato dell'occidente, e più in generale le questioni aperte fra il Nord e il Sud del mondo.
In questo momento storico, la questione più urgente e significativa che è nell'agenda dei rapporti internazionali riguarda il controverso tema della globalizzazione, che va collocata nella sua giusta dimensione, sottraendosi agli opposti fondamentalismi, fra chi la demonizza e chi la esalta acriticamente come soluzione di tutti i mali del terzo mondo.
Una icastica rappresentazione di queste contrapposte visioni abbiamo potuto registrarla nelle prime settimane di questo nuovo anno, quando a Nairobi in Kenia e a Davos in Svizzera, si sono svolti rispettivamente il Social Forum e il vertice di politici e uomini d'affari di tutto il mondo. A Nairobi si sono riuniti i no-global, che annualmente con cortei e manifestazioni, mettono la globalizzazione sul banco degli imputati, mentre a Davos, a volte in modo acritico, ne sono stati celebrati gli aspetti positivi e le virtù taumaturgiche ai fini dello sviluppo e della modernizzazione.
A questi annuali appuntamenti del Social Forum partecipano solitamente professionisti della no-globalizzazione, ma la grande massa è mossa sinceramente da un'autentica etica globale, vissuta nelle condizioni di una vita di povertà e di miseria. Su questo tema decisivo per le sorti dell'umanità occorre, a mio avviso, procedere ad una analisi equilibrata e valutare il fenomeno della globalizzazione come un evento legato allo sviluppo dell'economia, alle nuove tecnologie, all'emergere di nuove nazioni sui mercati mondiali.
Ma la circolazione di idee, uomini e merci non è fenomeno nuovo.
Immaginiamoci il destino cui sarebbe andata incontro l'Europa del medioevo se non ci fosse stata la circolazione delle scienze, della tecnica, della matematica, provenienti dalla Cina e dal mondo arabo.
Oggi la globalizzazione ha subito un'accelerazione notevole, contribuendo alla crescita e allo sviluppo di società povere come la Cina, il Vietnam e l'India. Occorre evitare dunque di cadere in una falsa rappresentazione di questo fenomeno, considerandolo come responsabile della povertà del Terzo e Quarto mondo, con note inaccettabili anche di antioccidentalismo. Non si tratta di rifiutare la globalizzazione, ma avviare un processo virtuoso attraverso il quale i suoi benefici vengono ripartiti equamente fra le nazioni del mondo e all'interno dei singoli paesi, regolando il mercato mondiale, senza ricadere in un nuovo protezionismo con autarchie e chiusure varie. Per raggiungere questi obbiettivi, l'ideale sarebbe creare un governo mondiale dell'economia che, come la pace perpetua invocata da Kant, fissasse i seguenti obiettivi: ridurre la miseria e la fame nei prossimi dieci anni; offrire istruzione primaria a tutti i bambini del mondo; combattere la malaria, V AIDS e dimezzare la mortalità infantile, che minaccia di spazzare via una intera generazione, in particolare in Africa. Questa funzione spetterebbe all'ONU che, comunque, col suo "Millennium Project" si è posto questi obbiettivi, che possono essere raggiunti se i paesi più ricchi aumentassero il loro contributo finanziario portandolo allo 0,7% del loro PIL. Tra i popoli donatori l'Italia occupa l'ultimo posto con lo 0,19% della ricchezza prodotta.
Il settore agricolo rappresenta forse la struttura produttiva più rappresentativa delle strozzature che favoriscono una diseguale distribuzione della ricchezza fra i forti e i deboli del mondo. Il libero scambio qui trova una alterazione clamorosa nel suo giusto dispiegarsi sul mercato mondiale dei prodotti agricoli. Basti pensare alle politiche di sostegno che Europa e Stati Uniti praticano a favore di questo settore. L'OCSE ha stimato una cifra che si aggira sui trecentocinquanta miliardi di dollari, che sono quattro volte dì più degli aiuti al terzo e quarto mondo. Questa politica protezionistica danneggia 10 milioni di agricoltori dell'Africa Subsahariana, favorendo invece 25 milioni di aziende nei soli Stati Uniti. Le lobby agricole dei paesi ricchi, con la loro pressione sui governi dell'occidente, siano essi di destra, di centro o di sinistra, operano uno stravolgimento delle regole del libero mercato, provocando un reddito minore per gli agricoltori del Sud del mondo. L'Africa è vittima, nel suo complesso di guerre, corruzione e malattie. Fra questi mali la corruzione è un micidiale combinato disposto fra gli interessi delle grandi imprese dell'occidente e i governi nazionali del continente nero. L'ottenimento di commesse estere viene favorito da elargizione di denaro che falsa la libera concorrenza nel campo delle grandi costruzioni e delle attività minerarie fra le stesse aziende dell'occidente, che contribuiscono con questi metodi a diffondere la corruzione fra le classi dirigenti africane, dando un ulteriore impulso al sottosviluppo e al mancato decollo, che, a volte da parte di settori intellettuali no-global, vengono considerati effetti perversi della globalizzazione.
Un ulteriore elemento penalizzante per i paesi poveri è rappresentato dalle regole che l'Organizzazione del commercio mondiale (WTO) ha imposto nel settore riguardante i brevetti. Queste procedure hanno un impatto devastante sulla possibilità che le medicine salvavita, come quelle che combattono l'AIDS, possano essere vendute a prezzi molto bassi, salvaguardando nello stesso tempo i fondi di finanziamento delle industrie per la ricerca farmaceutica. La via percorribile potrebbe essere quella della differenziazione dei prezzi, offrendo anche incentivi alle industrie farmaceutiche, per esempio, nel campo della ricerca di nuovi medicinali, come i vaccini antimalaria, indispensabili per i paesi africani, o promuovendo forme di sostegno e di defiscalizzazione dei profitti ottenuti dalla vendita di questi medicinali. Ma il recente fallimento della Conferenza di Cancan, in Messico, ha dimostrato le difficoltà connesse con i problemi del commercio mondiale, perché i paesi ricchi sono ostili a rinunciare ai loro privilegi e alle loro posizioni di forza nei rapporti con i paesi più poveri.
Un altro settore sensibile negli scambi fra Nord e Sud del mondo, riguarda la produzione e la vendita delle armi, su cui si è consumato uno dei crimini più vergognosi perpetrati dall'occidente ai danni soprattutto dei paesi africani. A questo proposito è sufficiente citare queste cifre molto eloquenti. L'85% delle armi vendute a livello mondiale viene prodotto dagli otto paesi più industrializzati del mondo (il cosiddetto G8). Nel 2004 si sono spesi per armamenti 975 miliardi di dollari, corrispondenti a 162 dollari per ciascun abitante della terra. Gli aiuti erogati ai paesi più poveri hanno raggiunto la somma di 80 miliardi di dollari, che equivale a 12 volte in più in armi che in aiuti. Queste spese mostruose per la produzione di armi sono servite ai Paesi del Terzo mondo a scatenare al loro interno sanguinose e distruttive guerre civili, arricchendo gli affari dei Paesi del Nord del mondo. Non solo. Ma all'origine di questi conflitti interni, si nascondevano gli interessi economici delle imprese industriali e commerciali dei paesi ricchi. Ecco in rapida successione, la riproduzione di un elenco di queste guerre, che hanno contribuito a deprimere lo sviluppo dei paesi poveri dell'Africa.

 

Antonio Scisci

Scheda bibliografica
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Autore Antonio Scisci
Titolo Medico volontario in Mozambico - Le Missioni Francescane
Editore Editrice Parnaso - Foggia
Prezzo s.p.i.
data pub. marzo 2007
In vendita presso:
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