Le abolizioni delle feudalità

a Conversano e Turi nel 1806

e il nuovo monastero di S. Chiara

in Turi dal 1838 al 1866

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Introduzione

  
Le abolizioni delle feudalità  a Conversano e Turi nel 1806  e il nuovo monastero di S. Chiara  in Turi dal 1838 al 1866
Collana
Crescamus 31

L’avvento delle leggi che regolarono l’eversione della feudalità, imposte dai napoleonidi sui territori dell’ex regno borbonico, non costituì, se non in parte, un atto rivoluzionario capace di sconvolgere dalle radici l’assetto sociale delle popolazioni meridionali. Un assetto che, consolidatosi nei secoli, aveva pur mostrato, specie nella seconda metà del Settecento, un nuovo dinamismo, un emergere graduale ma costante di nuovi ceti, nuovi destini economici e sociali, che andavano modificando il volto, soprattutto, dei grandi e medi centri urbani.

 

In Puglia in particolare le città costiere come Bari, Barletta, Molfetta, ma anche Monopoli e Mola diventano sedi di nuovo benessere economico, legato ad attività di trasformazione e commercio dei prodotti dell’agricoltura, che consentono la formazione di una solida grande (ma anche piccola e media) borghesia, capace di intraprendere nuove e lucrose strade verso i mercati nazionali e internazionali.

 

Sicché si può dire che nei maggiori e più dinamici centri pugliesi la feudalità è fortemente indebolita, se non addirittura inesistente, alla vigilia dell’avvento dei Francesi. Non così nei centri minori, nell’entroterra, nelle comunità legate inesorabilmente alla terra e alle scarse risorse che, a prezzo di disumane fatiche, se ne riusciva a ricavare.

 

Con la legge del 2 agosto 1806 i francesi aboliscono nel Regno di Napoli la feudalità con tutte le sue attribuzioni. Sembrano così realizzarsi ataviche aspirazioni delle popolazioni meridionali, sembrano spezzarsi le catene che tengono oppresso in schiavitù un popolo di braccianti, avvezzi da secoli a fronteggiare a mani nude l’avarizia della terra, il potere del signore feudale, il bisogno costante delle famiglie.

 

Finalmente le leggi del nuovo Stato impongono l’abolizione dei vincoli feudali, e vi subentra la divisione dei vecchi demani tra gli ex baroni, che ne diventano proprietari, e i comuni, divenuti affidatari di vasti territori destinati ad essere suddivisi in quote da destinare in enfiteusi ai comunisti, ovvero ai cittadini titolati a esercitarvi gli “usi civici” ormai anch’essi aboliti.

 

Una vera rivoluzione, sulla carta. Ben altrimenti andranno le cose nella realtà delle vicende storiche meridionali. Se la prima fase delle leggi eversive ebbe rapida attuazione, la seconda, ovvero la quotizzazione e assegnazione delle terre ai contadini meno abbienti, si trascinò ben oltre il decennio francese, fino (e oltre) l’unità d’Italia, dando la stura a fenomeni sanguinosi, come le occupazioni delle terre e, non ultimo, il brigantaggio.

 

Veniva meno così uno dei cardini su cui era stata impostata l’azione legislativa: l’obiettivo di favorire la nascita di una classe di piccoli proprietari capaci di apportare le migliorie e le innovazioni necessarie ad innalzare il tenore di vita generale e, complessivamente, la ricchezza stessa dello Stato.

 

Accadde che il freno imposto alle Università nel procedere alle quotizzazioni appariva funzionale, ad esempio, allo sfruttamento delle terre demaniali (prima destinate all’uso comune) per adibirle a pascolo, impedendone la divisione e l’affidamento, ovvero la messa a frutto per la semina e le coltivazioni in generale, e del pascolo non hanno bisogno i piccoli contadini, ma i grandi proprietari di mandrie e greggi.

 

Il contrasto sordo tra i ceti popolari e la nobiltà si arricchì ben presto di altri attori, non secondari, nell’ostacolare l’opera riformatrice delle leggi napoleoniche. Contrariamente a quanto avvenuto in altri territori del vecchio dominio spagnolo, come la Lombardia, l’economia meridionale legata alla terra non subisce nel corso del ’700 sostanziali trasformazioni rispetto al passato. Nel Ducato di Milano la vecchia nobiltà feudale ha convertito i propri interessi economici che, gradualmente, da parassitari hanno assunto la forma di una valida imprenditoria agricola. Il latifondo subisce le trasformazioni necessarie (primo fra tutti il suo frazionamento) a dare impulso da un lato alla crescita della produzione e dell’economia in generale, dall’altra all’affermarsi di una nuova classe sociale borghese legata agli sviluppi dell’agricoltura e dei commerci.

 

Questo passaggio cruciale da un’economia di sussistenza, oberata da vincoli ormai insostenibili, ad un dinamismo virtuoso non avviene nel Regno di Napoli.

Lo impedisce la stessa fisionomia dell’istituto feudale, che a Napoli, diversamente da Milano, conserva pressoché inalterata la struttura della proprietà baronale. Che magari cambia padrone, ma non viene sostanzialmente toccata nella sua entità territoriale unitaria.

 

Permane quindi nel Mezzogiorno una classe sociale di grandi possessori di terre che non hanno interesse alle trasformazioni e ai miglioramenti colturali, ostacolando così l’affiorare di una piccola e media borghesia fondiaria che invece si afferma con successo al Nord. Le leggi eversive non riusciranno a scalfire questo stato di cose: dalle riforme del decennio francese trarranno profitto soprattutto coloro che già posseggono un incontrastato potere economico. Con un danno in più per le popolazioni contadine, perché venivano aboliti gli usi civici e con essi i cespiti minimi per il sostentamento dei ceti meno abbienti.

 

La dialettica tra la sorda resistenza al cambiamento, e anzi la puntigliosa ricerca di ulteriori accaparramenti di beni e servitù da parte dei baroni, e lo sforzo diffuso di mettere in movimento le risorse del territorio, svincolandolo dai vecchi retaggi feudali, trova un punto di sintesi nel contrasto, molto variegato e talvolta aspro, tra nobiltà e comunità locali. Un contenzioso vasto, esteso su tutto il regno, tra feudatari e Comuni, che si trascina da più di un secolo tra lunghi e cavillosi procedimenti giudiziari, tesi a moderare lo strapotere dei baroni.

 

All’atto della promulgazione delle leggi eversive ancora molte controversie sono pendenti e per porvi fine viene istituita, nel novembre del 1807, una Commissione nel regno di Napoli con la finalità di chiudere rapidamente i contenziosi tra gli ex baroni e le comunità locali, in ossequio alle nuove leggi.

 

Le controversie riguardano soprattutto la pretesa dei feudatari e degli enti ecclesiastici di riscuotere dazi e decime su terreni demaniali e suoli urbani usurpati nel corso dei decenni ai danni dei Comuni. Con l’arrivo dei francesi l’innumerevole massa di contenziosi particolari, e diffusi capillarmente nel tempo e nello spazio, viene clamorosamente riassorbita in una norma generale e tassativa che mira a sconvolgere l’assetto economico-sociale dello Stato, onde consentire a nuove e più dinamiche forze sociali di assumerne il ruolo di classe dirigente. Il 2 agosto 1806 i francesi aboliscono per legge la feudalità con tutte le sue attribuzioni.

 

D’altra parte era lecito aspettarsi, da coloro che avevano introdotto i principi di libertà e uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, la mano dura nei confronti di evidenti disparità di status sul piano dei diritti sociali ed economici.

 

Tuttavia, malgrado le preoccupazioni della vecchia nobiltà, non si tratterà di una vera e propria guerra tra i titolari di antichi (spesso usurpati) diritti feudali e nuovo Stato napoleonico. Il sovrano di Napoli non ha interesse ad inimicarsi il vecchio ceto dirigente: la legge che abolisce la feudalità, lungi dal rivendicare per lo Stato la proprietà della ricchezza immobiliare detenuta dai nobili, li riconosce come legittimi proprietari e stabilisce l’indennizzo a loro favore dei diritti giurisdizionali perduti.

 

Diritti che la legge trasferisce per delega alle Università, ovvero ai Comuni, che diventano esattori per conto dello Stato.

 

La successiva legge del 1° settembre 1806 fissa le linee generali per la suddivisione dei demani feudali ed ecclesiastici, stabilendo che i Comuni ripartiscano tra i cittadini i territori di propria competenza, dietro corresponsione di un canone annuo proporzionato al valore delle terre. Il legislatore precisa (con successivo decreto) che nella ripartizione debbano essere preferiti i non possidenti e i possidenti minori.

 

Malgrado le buone intenzioni del legislatore, le cose andranno diversamente. Chi ha interesse a mantenere i demani comunali in uso per il pascolo (gli ex feudatari e i grandi proprietari terrieri) ostacolerà in tutti i modi la loro divisione e assegnazione da parte dei Comuni. Sicché soltanto una minima parte dei territori verrà quotizzata a vantaggio dei braccianti e dei contadini poveri. In Terra di Bari, ad esempio, poco più del dieci per cento delle terre demaniali viene quotizzato e finalmente diviso, con procedure che, iniziate nel 1809, si concludono ben oltre l’Unità d’Italia.

Francesco Cavallo

Scheda bibliografica
Autore Sabino De Nigris
Titolo Le abolizioni delle feudalità a Conversano e Turi nel 1806 e il nuovo monastero di S. Chiara in Turi dal 1838 al 1866
Editore A.G.A. Arti Grafiche Alberobello
Prezzo s.p.i.
ISBN 978-88-9355-299-8
data pub. maggio 2022
In vendita presso:
Archivio Diocesano di Conversano, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Angelo Custode: Dono e Bellezza
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Presentazione on line
    
Angelo Custode: Dono e Bellezza
Collana Crescamus 30

Introdotto da mons. Giovanni Intini, vescovo di Tricarico, che ne sottolinea gli aspetti religiosi, lo studio si dispiega su tre coordinate artistiche: storia italiana, cinema, musica e letteratura, e storia locale.

Partendo dalle raffigurazioni parangeliche presenti nelle epoche pagane assire, greche e romane, Giuseppe Lenoci evidenzia ed esalta la specifica figura dell’angelo nell’Alto e Basso Medioevo attraverso mosaici, affreschi e pitture con gli autori Duccio, Cimabue, Giotto, Martini, Piero della Francesca e Beato Angelico; poi dal Rinascimento con Leonardo da Vinci, Botticelli, Perugino, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio passa all’età moderna con Caravaggio, Tiziano Vecellio, Correggio, Pietro da Cortona, il Veronese e a noi più vicini Finoglio e Fracanzano, per concludere molto brevemente con Canova, Rossetti e Previati nell’età contemporanea (pp. 7-28).

Non meno rappresentata è la figura dell’angelo nel cinema, nella musica e nella letteratura: così nella settima arte Maria Teresa Lenoci la coglie perfino con derive esoteriche “nei paranormale romance o storie dai risvolti cruenti o epici come nel fantasy italiano e non”, citando City of Angel, remake de Il cielo sopra Berlino; nella musica segnala Ron, U2 e Vasco Rossi; e nella vasta letteratura Emily Dickinson e la poetessa Mathilde Wesendonck (pp. 29-32).

Infine Antonio Fanizzi non poteva non tratteggiare la figura angelica nella nostra Conversano attraverso le copiose sculture e pitture con una puntuale collocazione topica e annotazioni storiche e devozionali (pp. 33-37).

La conclusione nell’Appendice è presentata dallo stesso Giuseppe Lenoci, per il quale l’immagine angelica “trasmette e trasmetterà la bellezza divina, allo stato puro e vero, esaltando in noi sentimenti e sensazioni di umana felicità” (pp. 38-39).                  

 
 
Don Angelo Fanelli

 

Presentazione
    
Angelo Custode: Dono e Bellezza
Collana Crescamus 30

“Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, da’ ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari. Il mio angelo camminerà alla tua testa...”

(Esodo 23, 20-23a).

Queste parole del Libro dell’Esodo presentano in modo efficace il ministero affidato da Dio agli angeli a favore degli uomini.

Custodire, proteggere, accompagnare, guidare, prendersi cura sono i verbi che caratterizzano l’agire stesso di Dio verso gli uomini; verbi che noi abbiamo visto pienamente coniugati da Gesù: il Dio con noi.

L’angelo custode è la garanzia che Dio personalizza per ciascun uomo questa sua premura, che non è “premura di massa” ma attenzione a tutti e a ciascuno nella propria diversità.

Soprattutto nei passaggi più problematici della vita, l’angelo custode è testimone della vicinanza di Dio: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato...” (Isaia 49, 15-16).

Da un po’ di mesi il professor Lenoci, l’amico Pinuccio, mi aveva chiesto di scrivere una presentazione a questo bel libretto scritto da lui in collaborazione con Maria Teresa Lenoci e Antonio Fanizzi.

Purtroppo preso dagli impegni e poi travolto dall’epidemia di Covid-19 ho trascurato un po’ questo impegno.

Sentendomi in colpa per aver ritardato la pubblicazione di questo lavoro a cui il professor Lenoci teneva particolarmente, mi sono impegnato a scrivere questi pensieri in questo momento in cui sembra che lentamente stiamo venendo fuori dalla tempesta che ha travolto il mondo.

Riflettendo, ho pensato che non è stato forse un caso aver trovato in questo momento il tempo per scrivere, ma una vera provvidenza, ^esperienza di angoscia, paura e disorientamento che tutti abbiamo vissuto, ci rende più disponibili a pensare che, se ce qualcuno a nostro fianco, riusciamo meglio a non perdere la rotta della navigazione della vita. Certo, nel caso degli angeli custodi è necessaria la fede, quella dei semplici, dei piccoli, dei nostri nonni e genitori che, senza saper fare grandi discorsi, sapevano fidarsi e affidarsi a quella Provvidenza divina che tutto dispone con sapienza e amore.

L’angelo custode può diventare occasione di riflessione anche per coloro che pensano di non avere una fede ma amano la bellezza della vita e sono attenti a prendersene cura in tutte le sue forme; per loro e per tutti possono risuonare le parole di Don Tonino Bello che riscaldano il cuore e invitano a cercare sempre da qualche parte l’ala di riserva per affrontare il volo della vita.

 

S.E. Mons. Giovanni Intini - Vescovo di Tricarico
Scheda bibliografica
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Autore Giuseppe Lenoci - Maria Teresa Lenoci - Antonio Fanizzi
Titolo Angelo Custode: Dono e Bellezza
Editore Tipografia Pineta - Conversano
Prezzo s.p.i.
data pub. ottobre  2020
In vendita presso:
Per chi desidera ricevere una copia del volume, basta farne richiesta direttamente all’Archivio Diocesano di Conversano, o a Giuseppe Lenoci
tramite Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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Le due redazioni del catasto di Conversano nel 1753 e 1754
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Introduzione

  
Le due redazioni del catasto di Conversano nel 1753 e 1754
Collana Crescamus 27

I Catasti onciari, ordinati nel 1740 da Carlo di Borbone re delle due Sicilie, si proponevano di uniformare il sistema contributivo nel regno di Napoli con una equa distribuzione del carico fiscale tra tutte le fasce di contribuenti. A tal proposito, nel generale compiacimento, fu accolto il concordato con la Santa Sede del 1741 con cui si stabiliva che, per la prima volta, gli enti ecclesiastici erano obbligati alla tassazione sui beni, sia pure con lo sconto del 50% sull’imponibile. Un grande merito del catasto carolino.

Esso costituisce non solo una ricognizione dei beni, case, terreni, animali e mutui attivi e passivi, ma una descrizione dei nuclei componenti i fuochi, abitanti, forestieri, ecclesiastici ed enti religiosi. Ci danno un quadro economico ma anche sociale ossia biografico, edilizio, religioso, topografico, toponomastico che tratteggiano il volto delle città nel ‘700. Rappresentano una fonte preziosa per la storia economica e sociale delle città del Regno nel secolo XVIII. è espressamente manifestata la volontà di sollevare i poveri da gravami fiscali eccessivi. I catasti carolini erano detti onciari perché, inopinatamente, la rendita imponibile stimata in ducati, moneta corrente, era tradotta in once, una antica moneta non più in uso. Anche se l’oncia era stata utilizzata già nei catasti “a battaglione” 1 . La contribuzione fiscale all’epoca era praticata a gabella, dazio minuto e tassa sui beni. 

In conformità alle istruzioni, deve essere compilato un librone detto il “general catasto” con le varie categorie di contribuenti riportanti le partite catastali ed un consuntivo finale da depositare presso l’Università delle città, e copia inviata alla Regia Camera della Sommaria con tutti gli altri volumi. Annualmente, poi, venivano redatti i “catastini” per aggiornamenti sulle variazioni occorse.

Purtroppo tutti i documenti esistenti presso il Comune di Conversano sono stati distrutti in occasione dell’incendio del Municipio nella rivolta popolare del 20 maggio 1886, e, tra essi, l’onciario carolino pubblicato il 17 ottobre 1754, a Conversano, nella illusoria convinzione di sfuggire alle tasse in futuro. 

Nella compilazione dei catasti si configurano reiterati tentativi dei contribuenti di ridurre il prelievo fiscale con tutti i mezzi leciti o illeciti a partire da “rivele” mendaci. Tra i sotterfugi più in voga vi erano quelli di “far leva” su apprezzatori e periti per sottostimare misure e rendite dei possessi o occultare beni e quant’altro poteva servire a ridurre il carico fiscale come il ricorso a mutui con enti ecclesiastici che beneficiavano di sconti. Un vero e proprio sistema di finanziamento precursore di quello oggi gestito dalle banche.

Presso l’Archivio di Stato di Bari è conservata una copia del general catasto di Conversano, compilato negli anni 1750-1753, che è infarcita di squarciafogli incollati alle partite catastali e di annotazioni ai margini con diversa stima delle misure e rendite. Un guazzabuglio di partite catastali di difficile se non impossibile trascrizione e pubblicazione. Ma anche lacunoso, privo di intere ed importanti parti come le partite dei deputati del catasto e della categoria dei forestieri (Polignano), la collettiva generale e quella delle once (bilancio consuntivo) delle entrate ed uscite (pesi) dell’Università e cosa più rilevante la tassazione a cui venivano assoggettati i contribuenti. La sua provenienza non è accertata, ma sicuramente non era tra le carte nel Municipio nel 1886: sarebbe stato bruciato. Esso è stato utilizzato per la compilazione del catasto del 1754 come brogliaccio e verosimilmente per compilare il provvisorio del 1814.

Ci siamo, quindi, risolti a consultare la copia esistente nell’Archivio di Stato di Napoli, nella speranza che fosse utilizzabile per una trascrizione e analisi critica delle condizioni di Conversano nel ‘700.

Il nostro impegno è stato premiato per le sorprese di grossa rilevanza storica nascoste nei manoscritti della Sommaria. Sotto il nome di “Catasto onciario di Conversano” sono compresi undici massicci volumi consistenti in atti preliminari, libro dell’apprezzo, due volumi di squarci di campagna, sei di rivele e il general catasto. Gli aspetti di grossa rilevanza storica, sono negli Atti preliminari, Volume di gravami e nello Stato delle anime del 1753, tutti inediti, non reperibili in altri archivi. Dagli Atti preliminari, solitamente trascurati dagli studiosi, apprendiamo che la compilazione del catasto a Conversano ha avuto un iter molto travagliato. Essi avrebbero dovuto limitarsi ad attuare le incombenze burocratiche dettate nelle Istruzioni dell’editto del Re del 1741 che riportano dettagliatamente le modalità di compilazione del catasto arricchite da apposita modulistica.

A Conversano, il percorso ebbe inizio nove anni dopo, il 15 ottobre 1750, con la nomina dei deputati del catasto, dei rappresentanti dei tre ceti, dei periti, ed emanazione di bandi nelle città vicine per comunicare ai possessori di beni in territorio di Conversano l’obbligo di presentare le rivele (dichiarazioni dei redditi). Indi si procedeva all’apprezzo. Dopo la discussione delle rivele con gli apprezzi si compilava il “general catasto”, da pubblicare nella pubblica piazza. 

Andando avanti nella lettura degli Atti preliminari scopriamo importanti novità che danno un rilievo storico-sociale inedito nella storia di Conversano e, forse, del Regno di Napoli. Vi si annidano copie di verbali comprovanti gravi decisioni di Re Carlo a favore della plebe contro i ricchi.

è emersa, infatti, una contesa tra poveri e benestanti di non poco conto, tenuto presente che la città è sede di contea soggetta a regime feudale, sede vescovile dal secolo IV e conta oltre 5500 abitanti. Con i conti Acquaviva d’Aragona ha avuto un ruolo determinante nel governo della Puglia agli ordini del re di turno.

La popolazione denuncia una «scandalosa convenzione» tra periti e benestanti, finalizzata a sottostimare beni e rendite, ordita da un notabile d’eccezione, addirittura un canonico di famiglia di alto lignaggio, e da vari deputati addetti alla compilazione del catasto non solo del I° ceto. Le denunce sono suffragate dalla Declaratio notarile di un perito che fa nomi e cognomi dei fedifraghi. La conseguenza più immediata della macchinazione è che non si raggiunge il “pieno” (importo totale) per sostenere le spese comunitarie dell’Università riversandole in gran parte sui poveri con l’odiata gabella della farina.

Che fa Re Carlo di Borbone? Siamo nel secolo dei lumi. Senza mezzi termini dà ragione al popolo. Dopo aver destituito i notabili compilatori, responsabili del misfatto, ordina la revisione con riapprezzo. Il catasto pubblicato nel 1753, conservato a Bari, è annullato e il suo rifacimento demandato a periti e deputati da eleggere con nuove elezioni in pubblico parlamento. Vanno rifatte le stime delle rendite di terreni, animali e derrate poiché le precedenti erano “troppo basse”. Le spese sono addebitate ai responsabili della tentata maxi evasione.

Un fatto senza precedenti che pone Conversano in un contesto sociale di primo ordine. Infatti, nella pur vasta pubblicistica non si rileva analogo episodio occorso in altre Università, ad eccezione di piccole scaramucce dovute a ricorsi contro feudatari. Nel Volume di gravami emerge la contrapposizione dei colpiti dal riapprezzo che indicano come autori della denuncia della “scandalosa convenzione” «alcuni malcontenti della plebe che si sono fatti eleggere periti per il riapprezzo». I loro nomi sono negli Atti preliminari.

Altre diatribe secolari sono quelle sul possesso territoriale tra Polignano, Castellana, Mola e Turi contro Conversano. Nella controversia tra Mola e Conversano 2 ,  alla lunga la spunterà Mola. Nel catasto in regime a battaglione del 1627, conservato presso l’Archivio Capitolare di Conversano si riscontrano circa 500 partite di cittadini molesi con beni in territorio di Conversano accatastati in contumacia.

Ma la chiusura della compilazione del general catasto tarda per le contrapposizioni tra le diverse fazioni di eletti e deputati facilmente individuabili. Un dispaccio di Carlo di Borbone ordina prima la traduzione di sindaco e deputati di Conversano presso la Regia Dogana di Foggia ove dovranno essere trattenuti, a loro spese, fino al termine delle operazioni di completamento del general catasto fissate entro il termine di agosto del 1754 e poi l’invio a Conversano di Carlo Curti, “sindaco” della Regia Dogana di Foggia, per captis pignoribus vel captura persona, dei due sindaci di Conversano (del 1753 e 1754). Il catasto viene completato da Carlo Curti e pubblicato con enorme ritardo il 17 ottobre 1754 a Conversano e, quindi, inviato, unitamente a tutti i volumi, alla Regia Camera della Sommaria il 22 ottobre successivo. 

Il rifacimento del libro del catasto ha, tuttavia, rimediato solo in parte all’ingiustizia in danno dei poveri poiché, per il 1754, allo scopo di raggiungere il “pieno” si è lasciata la gabella della farina ridotta del 50%. Che pur non è di poco conto.
Nel nostro lavoro abbiamo esteso lo studio della contribuzione fiscale a quella dopo l’unificazione utilizzando le opportune note dell’arch. Sante Simone, che lo connotano di una inaspettata vena di meridionalismo, inserite nelle Memorie istoriche di G.A. Tarsia Morisco 3 .

Questa pubblicazione ha caratteristiche che ne fanno un lavoro utile per studiosi e non solo. Gli aspetti sociali, economici ecc., infatti, sono esposti analizzando e confrontando le singole categorie con le analoghe di altri onciari delle Università di Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto 4 . Altrimenti, come già detto, si sarebbero persi aspetti importantissimi che avrebbero dissipato tutta la loro peculiarità. Come la distribuzione dei beni, le donne o fanciulle in capillis, i bracciali che hanno una interpretazione diversa nelle Università.

In genere i libri dei catasti delle Università pubblicati si attengono alla descrizione degli aspetti che caratterizzano la città senza alcun confronto con le altre.

Il nostro lavoro agevola la ricerca genealogica, resa possibile da un indice per cognomi di persone, considerato che nei manoscritti dell’epoca le partite catastali seguono i nomi propri dei capifuoco. 

Numerose le immagini di palazzi, case d’epoca, chiese, chiesette rurali, masserie, laghi che danno un’efficace connotazione alla città.   

L’impostazione grafica è curata in modo da agevolare le ricerche di ogni tipo: storico, economico, sociale, lessicale e genealogico.

Abbiamo lasciato i termini come compaiono nel manoscritto poiché rappresentano una precisa volontà di affermare la propria identità, “la conversanesità”, anche di fronte a «Sua Maestà il Re (che Dio guardi)» al quale il manoscritto è indirizzato.

Molti capifuoco di Mola sono individuati anche con il soprannome che esprime una caratteristica personale. Si evidenziavano, senza peli sulla lingua, le disavventure coniugali, le preferenze sessuali, la scarsità di comprendonio, l’eleganza nel vestire di qualche sacerdote. Non è esclusa una dose di divertito sarcasmo e dileggio tipico del conversanese. Basta scorrere la categoria e se ne trovano di gustosi.  

L’opera, per contenere il costo, è suddivisa in due parti. La prima in un volume che include tabelle e studi comparativi con altre città. La seconda in un DVD che contiene la trascrizione del manoscritto conservato nella Sala catasti dell’Archivio di Stato di Napoli. I nomi ricorrenti sono in gran parte quelli degli attuali conversanesi, di molti molesi, castellanesi, polignanesi, putignanesi e rutiglianesi: sono i loro antenati.

Non si ha notizia di città con popolazione rilevante che hanno pubblicato il catasto carolino a causa dell’enorme mole di lavoro. Sforzo titanico che richiede tempi lunghi, certo non ripagabile economicamente.

I conversanesi possono essere fieri della loro storia e della loro identità, del glorioso passato che li vede sempre in prima linea nell’attuazione di idee innovative tendenti a liberarsi dal giogo dei regnanti con lotte politiche e sociali. 


1  Archivio Capitolare di Conversano, Catasto di Conversano del 1627.

2  ASF, Dogana delle pecore di Puglia, Controversia tra Mola di Bari e Conversano sulla determinazione dei confini territoriali delle contrade S. Marco, Pozzovivo e Spinazzo, serie II, busta 279, fascicolo 6396, 1754-1755, cc. 28.

3 G.A. Tarsia Morisco Memorie istoriche della città di Conversano, a cura di A. Fanelli e V. Perillo, Note di S. Simone S3, S4, p, 163-165.

4  Palumbo-Poli-Spedicato, a cura di G. Poli, cit, pp. 160–166.  

Luigi P. Marangelli 
Scheda bibliografica
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Autore Luigi P. Marangelli
Titolo Le due redazioni del catasto di Conversano nel 1753 e 1754
Editore A.G.A. Alberobello
Prezzo s.p.i.
data pub. maggio 2019
ISBN 978-88-9355-117-5
In vendita presso:
Emmaus - Conversano 
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Memorie istoriche della città di Conversano
con una inedita Dissertazione
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Introduzione
  
Memorie istoriche della città di Conversano con una inedita Dissertazione
Collana
Crescamus 25

1. Redatto con l’intento di darlo alle stampe già nel 1804, ma in realtà rimasto lungamente inedito, il manoscritto di Giuseppe Antonio Tarsia Morisco (…) era stato ripreso e pubblicato da Sante Simone a Conversano nel 1881 per i tipi di Benedetto Favia (8°, pp. 455), corredandolo di proprie note e lasciando immutata l’impostazione generale: vi apportava solo tre variazioni rispetto all’originale con le omissioni della dedica al vescovo Nicola Vecchi, del primo capitolo e dell’Appendice documentaria. La pubblicazione non doveva aver avuto una gran fortuna editoriale, non tanto per la tiratura probabilmente limitata – ben poche sono rimaste le copie in circolazione e quasi tutte nelle istituzioni culturali –, quanto soprattutto per l’intrinseco disagio di consultazione, come verrà precisato al 3.4. A riproporne l’edizione anastatica si era accinto l’Editore Arnaldo Forni, che l’annunciava nel suo catalogo alcuni decenni fa, ma l’impresa non ebbe seguito e fu definitivamente abbandonata, presumibilmente per quella difficoltà per il lettore che si sarebbe tradotta non solo in un mancato utile economico, ma forse in un fallimentare insuccesso editoriale. Una ragione puramente economica prevalente sulla cultura pura, comunque giustificabile senza interventi finanziari pubblici, per i quali peraltro non saprei se fossero stati posti all’attenzione dell’Amministrazione Comunale di Conversano. Certo l’opera tarsiana non è di facile e immediata consultazione, né mette a suo agio il lettore, ma sicuramente la sua composizione non può definirsi “informe, sconnessa, affastellata e confusa”, come severamente sostiene il Bolognini nella sua introduzione. (……………)

3.1. Viene preliminarmente da chiedersi se ha ancora validità riproporre nel nostro tempo questo testo storico del 1804. Una prima risposta che rimuove ogni perplessità è data dalla sua indubbia e innegabile qualità; le Memorie inoltre colmano un vuoto storico di un secolo e mezzo dall’edizione latina edita a Madrid nel 1649. Inoltre va chiarito subito che la nostra non può ritenersi una riedizione del 1881, ma un’edizione del tutto nuova, perché riporta la trascrizione integrale del manoscritto tarsiano. Non conosciamo i motivi che hanno sistematicamente indotto il Simone alle numerose omissioni del ms., e di alcune parti a farne un semplice abrégé. (…) Pur dichiarando il Simone nel rivolgersi ai lettori che “il lavoro del chiaro autore sarà fedelmente pubblicato com’è scritto” (p. VII), è da presumere che abbia pensato a un’operazione di restyling, sia omologando a tratti la lingua dell’autore a quella del loro tempo, e sia omettendo, con ingiusta e notevole perdita per noi, le lunghe citazioni documentarie, spesso in latino, in modo da ottenere una più accattivante accoglienza dei lettori. (…………..)

3.4. L’opera del TM è strutturata secondo un modello classico della scolastica: una breve tesi enunciativa e poi lo svolgimento attraverso le “note”; quando queste sono molto brevi le sottopongo nella stessa pagina e in tal modo il lettore ha immediata continuità logica con il testo. Ma quando esse prendono corpo e diventano per così dire anche kilometriche, è allora che il lettore entra in crisi: gli tocca alla fine della lettura della nota ritornare alla pagina della tesi, scorrere il testo per rintracciare l’assunto da cui è partito e proseguire con il nuovo per una operazione contraria fino a ritrovare la nuova nota. Un pendolarismo dispendioso e difficoltoso che crea disagio mentale e perdita di continuità del discorso storico. Per una nuova edizione occorreva quindi un diverso impianto editoriale. Ma quale? Un innovativo e radicale cambiamento mediante capitoli a sé stanti, seppure in successione storica, avrebbe svisato totalmente l’impostazione dell’originale con conseguente perdita della visione organica del compatto contesto, e comportato necessariamente interventi “spuri”. Così allora ho preferito conservarne l’organicità originale mediandola attraverso una divisione logico-argomentativa, scandita numericamente, e richiamando sempre all’inizio il tema parcellare, in modo da conservare la visione d’insieme. Ovviamente tali apporti sono visivamente distinguibili per la presenza del corsivo nell’uncinato. (………………)

3.11. Traspare ripetutamente, quasi come per una biblica evocazione, la predilezione dell’autore per la coltura della terra, quella sassosa e improduttiva che attraverso l’attività laboriosa umana diviene per l’uomo stesso riscatto sociale, economico e personale. Significativo il passo in cui (metafora o realtà che sia) il lavoro della terra viene posto in sintonia con la penitenza della confessione quasi come un’equazione: più peccati, più penitenza e la penitenza consiste in alberi da piantare. Il risultato? Là dov’era terra inerte e infeconda, là sorgeva, come suol dirsi ancor oggi nel nostro vocabolario contadino, un “giardino”, una terra turgida di alberi da frutto (pp. 61-62). Non vi manca l’annotazione di una persistente e diffusa superstizione popolare, come l’impotenza maschile dovuta ai malefici delle streghe: “Dippiù accade alla giornata in Conversano per una forte accensione di fantasia, che tanto suol operare sopra del nostro spirito, non potersi da sposi conoscere carnalmente le loro spose, e specialmente quelle che sono belle, per qualche tempo dopo lo sposalizio. Dicono costantemente che tutto ciò venga a nascere dalle operazioni delle streghe, che chiamano legature (p. 45); né vengono tralasciati anche piccoli particolari, come si dice oggi, di genere: l’usanza femminile ancora vigente al suo tempo del taglio dei capelli sul marito defunto (p. 44); ovvero la delicata annotazione sulla bellezza fisica e morale delle donne conversanesi: “Le femmine poi quanto sono belle, amorevoli e compite, tanto sono caste e divote” (p. 63), mentre il suo avo esalta ancor più la fisicità femminile (le donne sono bellissime e molto feconde per il dono delle mammelle); o ancora la consuetudine femminile della perdonanza prima del matrimonio (p. 146).

3.12. Possiamo affermare in conclusione che le sue Memorie, penalizzate dalla linea editoriale del Simone e ingiustamente accantonate o poste in ombra dal sopraggiunto Bolognini, restano la più ricca, preziosa e bella storia documentaria della nostra città. Ovviamente pur con tutti i limiti che gli si possono addebitare e per alcune sue ipotesi storiche che diventano tout court certezze mediante un retorico interrogativo piegato all’afferma-zione, anche se nella storia, lo sappiamo, ogni ipotesi ha sempre bisogno di riscontri oggettivi e documentari. È soprattutto a lui che dobbiamo anche la documentazione delle testimonianze epigrafiche, molte delle quali ormai perdute, e alle quali hanno attinto sia il de Jatta e sia il Bolognini. Infine le numerose citazioni degli accademici e umanisti del ’400, come p. e., Cantalicio , vescovo di Atri, Jacopo Sannazzaro, Pietro Summonte, Giovanni Gioviano Pontano, Giovanni Albino, Gregorio Rosso, Pandolfo Collennuccio, il Duca di Monteleone , il leccese Antonello Coniger (Connigero), Paolo Giovio e i successivi Angelo di Costanzo, Camillo Porzio, Domenico Antonio Parrino, Francesco Capecelatro, Eustachio d’Afflitto, Baldassarre Storace e altri ci fanno riscoprire la ricca produzione letteraria e storica del regno di Napoli. Di questi testi antichi, nell’indicare il preciso riscontro bibliografico, ho inteso consultare quelle edizioni che il TM avrà avuto tra le mani nel suo tempo, tralasciando quindi le moderne edizioni critiche, salvo qualche eccezione. Senza dubbio tutti questi materiali storici diventano per noi uno stimolo ulteriore a riprenderli, confrontarli e vagliarli criticamente per elaborare nuovi studi sulla nostra città; la ricerca quindi, inesauribile come sempre in ogni disciplina, resta tuttora aperta. dalla Prefazione della Dissertazione

1. Si era conclusa tragicamente appena qualche anno prima la brevissima esperienza repubblicana del 1799 a Napoli: iniziata il 21 dicembre 1798 con la cacciata del re, era stata spazzata dalla repressione sanfedista, guidata dal card. Fabrizio Ruffo e dai lazzaroni, i popolani napoletani filo-borbonici; la città era stata ripresa il successivo 22 giugno e il re reinsediato. La classe intellettuale rappresentava la “minoranza” non solo come numero, ma come espressione capace di “compenetrare a sé la nazione”, scollata del tutto dalla plebe che, senza “altro barlume d’idea politica che la potenza del re”, identificava nei proprietari, i gentiluomini e i signori il movimento patriottico definendoli giacobini: “Chi tene pane e vino, / ha da esse giacubbino”. La reazione del re Ferdinando IV era stata molto dura: quelli che riuscirono a emigrare, sottraendosi alle uccisioni comminate dal re, furono più numerosi di quelli di altre parti d’Italia e gli aristocratici che avevano aderito alla repubblica vennero privati nel 1800 della rappresentanza nei Sedili. La plebe era stretta dall’endemica e immensa povertà, che ne avvelenava l’animo e sfociava nelle province nel brigantaggio, ma piuttosto che lasciarsi permeare dagl’ideali di libertà e uguaglianza provava sentimenti di devozione monarchica e fece sua la crociata della Santa fede promossa dal card. Ruffo. In tale contesto il re nel 1802 emana un dispaccio quasi a promuovere un sondaggio-gara per arginare il dilagante fenomeno della povertà; il gesto poteva apparire perfino “democratico”, ma in realtà era semplicemente un modo per tacitare o tenere sotto controllo le istanze dal basso e quelle dall’esterno, quest’ultime concretizzatesi quattro anni dopo con la conquista napoleonica; un modo paternalistico per blandire le estese masse diseredate in cui “i Masanielli non erano morti” e che erano guidate “da istinto infallibile dell’utile loro immediato”. Quanto al re poi icastico è il giudizio del Croce: “A re Ferdinando si è fatto forse troppo onore chiamandolo un tiranno: il che farebbe supporre, per lo meno, l’ambizione della forza e del potere. Egli pensava alla caccia, alle femmine, alla buona tavola; e purché si lasciassero fare le dette cose, era pronto a intimare la guerra, a fuggire, a promettere, a spergiurare, a perdonare e ad uccidere, spesso ridendo allo spettacolo bizzarro”.

 

2. Il dispaccio regio si articolava in due punti: 1. come trovare risorse per incanalare i poveri in unità abitative o Case di reclusione; 2. quali i mezzi per superare la povertà, e creare produttività economica. TM si accinge a raccogliere l’invito partendo da quella diffusa topica mitologica incentrata sulla retorica dell’ubertà del Sud, che Giustino Fortunato demitizzerà realisticamente; ne intravede comunque aspetti di decadenza, di cui coglie le cause storiche, per concludere “che non siamo ancora pervenuti a quella condizione che potrebbe dirsi esser di già perfetto lo stato nostro civile. Noi non ancora ci abbiamo una nazione formata” (p. 445), e trova nell’educazione, nella legge e nel lavoro mediante il supporto dello stato i fattori di rinnovamento morale ed educativo contro la povertà. Entra quindi nel nocciolo del tema: la costituzione delle Case per i poveri, che intanto rimuovono la piaga diffusa del vagabondaggio. Dove trovare i mezzi per l’accoglienza di questa fascia sociale così derelitta? Molto dispendiosa sarebbe la loro costruzione ex novo, e i finanziamenti e le risorse da reperire sarebbero ingenti; peraltro, se trovati, non potrebbero se non essere attinti attraverso il giro di vite della tassazione, incombente più sul popolo che sulla ristretta cerchia di nobili e alto-borghesi. Non gli pare perciò praticabile e neppure immediatamente realizzabile questa soluzione. Ecco la sua intuizione, comoda, tempestiva e alla portata di mano: egli ……… (……….)

È il lavoro per TM, rispondendo al secondo punto del bando borbonico, che da una parte redime il povero e dall’altra lo rende produttivo e utile alla società, citando quella massima popolare “che quanto è più povero il vostro popolo, tanto meno rende a voi stesso” (p. 451), ossia alla collettività; perciò nessun assistenzialismo, né dargli un “reddito di cittadinanza” come diremmo noi oggi ……..

Angelo Fanelli
Scheda bibliografica
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Autore Angelo Fanelli e Vincenzo Perillo
Titolo Memorie istoriche della città di Conversano con una inedita Dissertazione
Editore A.G.A. Alberobello
Prezzo s.p.i.
ISBN 978-88-9355-068-0
data pub. ottobre  2017 (pp. 503)
In vendita presso:
Emmaus - Conversano 
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Arredi sacri e parametri nei documenti archivistici di Conversano
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Tratto da monopolilive.com
  
Arredi sacri e parametri nei documenti archivistici di Conversano
Collana
Crescamus 24

Con il volume di Angelo Fanelli Arredi sacri e paramenti nei documenti archivistici di Conversano (Conversano 2017, pp. 207 con illustrazioni) si conclude il ciclo delle numerose attività culturali realizzate per il 750mo dell’insediamento badessale della benedettina greca Dameta nel monastero di San Benedetto di Conversano (3 dicembre 1266-3 dicembre 2016).
Appuntamento martedì 9 gennaio a Conversano, alle 18.30 nella Sala forum archivio della biblioteca. Don Roberto Massaro, rettore del Semimario vescovile, illustrerà il tema "Essere è prendersi cura: dalla filosofia alla bioetica della pittura". Conclude il vescovo, Giuseppe Favale.
Come si legge nell’Introduzione, la lettura degli inventari delle chiese di Conversano che si snodano dal 1659 si dispiegano alla lettura di valenze diverse attraverso l’aspetto linguistico, economico, tecnologico, psicologico, storico, devozionale e tecnico, poiché non ci si imbatte “in una solitudine di numeri primi chiusi in se stessi, ma al contrario essi interagiscono con vivezza con la stratiforme società del tempo”.
Il glossario finale guiderà il lettore alla comprensione dei termini desueti o commisti con il dialetto e della varietà delle stoffe usate (cataluffo, amoerro, ermisino, terzanello).

Tratto da monopolilive.com
Scheda bibliografica
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Autore Angelo Fanelli
Titolo Arredi sacri e parametri nei documenti archivistici di Conversano
Editore A.G.A. Alberobello
Prezzo s.p.i.
data pub. novembre 2017
In vendita presso:
Emmaus - Conversano 
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