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La storia siamo noi - Il caso Pende

 

 
 
tratto da: "Fondazione Collegio San Carlo"
 
 
 tratto da: "lastoriasiamonoi.rai.it"


Un documento che fa doverosa chiarezza sul ruolo di Nicola Pende nell'emanazione delle leggi razziali sotto il periodo fascista.

A proposito di Pende…

 

Ho letto con piacere l’Editoriale della Voce del paese del 30.05.2020, intitolato “Gli occhi falsi della storia”: finalmente qualcuno a Noicattaro ha pensato di far sentire la sua voce e il suo risentimento per la decisione del Comune di Bari di cancellare, su mozione del consigliere Cipriani (Bari Bene), il nome di Nicola Pende da una via del quartiere Carrassi del capoluogo. Questo mio intervento non è dettato da motivi politici, ma ha solo lo scopo di chiarire alcuni punti della questione Pende. E’ una storia vecchia che risale a parecchi anni fa. Il nome di Pende è stato praticamente preso di mira da giornalisti, saggisti, panflettisti, politici di un certo schieramento, per denigrarlo in tutti i modi, quasi a voler trovare un capro espiatorio nella questione del Manifesto della Razza del 1938 e del successivo antisemitismo italiano. Nella seconda parte dell’editoriale si parla poi della cancellazione dei nomi di altri firmatari del Manifesto dalla toponomastica di altri paesi, ma c’è da dire che i nomi di un Arturo Donaggio, di un Edoardo Zavattari, di un Marcello Ricci[1] (non Rizzi), non possono stare sullo stesso piano di quello di Nicola Pende, anche perché quasi sicuramente quei tre professori condividevano con Mussolini le teorie razziste contenute nel Manifesto, tanto è vero che non protestarono per niente. Quella di Pende è tutta un’altra storia! Per quanto riguarda la figura di Pende come studioso, alcuni mettono addirittura in dubbio che egli sia stato uno scienziato, fondatore di una branca importante della medicina, che è l’endocrinologia. Nel 1998 si tenne a Bari, organizzato dall’Università un Congresso Internazionale di Storia della Medicina, con la presenza di  illustri relatori, italiani e stranieri, e questi, alla fine del congresso, vollero rendere omaggio alla terra natale di Pende, da loro definito “il primo endocrinologo di indiscutibile fama mondiale”. Fu candidato al Nobel per la medicina in tre occasioni: nel 1937 per l’endocrinologia, nel 1943 per gli studi sull’ipertensione, l’azotemia e l’iperfunzionamento del timo, nel 1951 per gli studi sulle ghiandole a secrezione interna. Firmò 70 voci nell’Enciclopedia Treccani per la medicina.

    Per quanto riguarda il famigerato Manifesto della razza, preparato da Mussolini in persona, è stato accertato e riconosciuto da tutti che Pende non l’ha firmato e purtroppo egli viene ancora oggi bollato come “firmatario” dell’”abominevole”(così lo definisce lui stesso) documento. E’ noto pure che  Pende e Visco  furono gli unici a protestare vivacemente, anche alla presenza del segretario del Pnf Starace, contro Mussolini e i funzionari del Ministero della Cultura Popolare, chiamando “coglionerie” le affermazioni contenute nel manifesto. Lo scontro durò mesi e Pende rischiò l’emarginazione e persino il confino. Più tardi il giornale fascista Il Tevere sferrò un violentissimo attacco a Pende, proprio per il suo mancato antisemitismo, accusandolo di tradire la politica razzista del regime e di essere quasi un complice dei giudei.[2] Come in ogni dittatura, le sue proteste furono soffocate dalle direttive del regime: fu costretto al silenzio e al ricatto dei gerarchi  fascisti. Certamente non fu un eroe, nel senso che non mise a rischio la sua incolumità personale per difendere la sue posizioni, anche per non precludersi  la possibilità di dedicarsi all’attività scientifica, a cui ci teneva molto. Ad un esame attento degli scritti di Pende, si capisce benissimo che il testo del Manifesto era molto lontano dal suo concetto di razza e dalle misure eugenetiche, da lui proposte, per la tutela e il miglioramento della razza. Non esiste, per lui, una razza pura, né tanto meno una razza superiore alle altre, prendendo le distanze dal razzismo tedesco di Rosenberg (1933). La politica razziale propugnata da Pende non diventò mai razzismo antisemita, né tanto meno stimolo alla persecuzione razziale di tipo germanico, fino all’aberrazione dei campi di concentramento e di sterminio. Mussolini certamente sapeva dove voleva arrivare col manifesto sulla razza, ma Pende mai avrebbe sospettato che le conseguenze e le applicazioni di quel decalogo si sarebbero trasformate in un cinico e scellerato disegno di morte. Per quanto riguarda la questione ebraica, da lui appena accennata  in qualche opera, Pende era favorevole alla discriminazione, secondo la prassi, seguita da secoli in tutta Europa, e in linea col pensiero cattolico, della segregazione, e per questo sconsigliava l’incrocio matrimoniale tra italiani e semiti, ma quando si accorse che Mussolini, dopo il 1943, aveva aderito pienamente alla politica razziale di Hitler, basata sulla persecuzione e sulla deportazione ai campi di concentramento, prese subito le distanze, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e cercò di salvare dalla deportazione parecchi ebrei, secondo la loro stessa testimonianza, mettendo a rischio la sua stessa vita[3]. Pende viene accusato di essere stato “il più autorevole sostenitore della campagna razziale e antisemita del fascismo”[4]. Bisogna invece ricordare che egli non collaborò mai alle riviste  “Razza” e “Difesa della Razza”, attraverso le quali il Regime cercò di diffondere sentimenti antisemiti. Il Rabbino capo di Roma Zolli, attesta esattamente il contrario in una lettera a Pende del ’44: presa visione dei documenti e pubblicazioni da lei fatte, sono lieto di poter avere la certezza che lei non ha mai combattuto né con scritti né con opere gli israeliti”. Pende, pur essendo fascista, ideò  un tipo di razzismo ben diverso, chiamato nazional razzismo, a vocazione spiritualista, sulla scia della scuola scientifica italiana, basato sul mito, caro al fascismo, della romanità e della eccellenza delle stirpi mediterranee. Il fascismo aveva portato il nazionalismo ai gradi più alti, inserendo come caposaldo nella sua ideologia il culto di Roma Imperiale e l’aspirazione al colonialismo e alla costituzione dell’Impero. Le nostre genti, secondo Pende, nonostante i numerosi incroci avvenuti nel corso di millenni, conservavano ancora i caratteri delle antiche stirpi mediterranee, che avevano dato vita poi alla splendida civiltà romana. Questo sentimento è evidente anche nel discorso che Pende tenne il 15 gennaio 1925 all’inaugurazione dell’Università di Bari, chiamandola “tempio nuovissimo di civiltà italica”.  Con lo slogan italici con italici, in campo matrimoniale, egli mira  a tutelare questi caratteri della razza romano-italica;  secondo lui la mescolanza delle stirpi, in ambito italico, tra settentrionali e meridionali, attraverso le trasmigrazioni interne, era un fatto altamente positivo. L’interpretazione fornita da Pende sull’ortogenesi e sulla biotipologia fu considerata da Padre Gemelli e dalla rivista “La Civiltà cattolica ” pienamente rispondente non solo ai principi scientifici, ma anche alle ragioni morali e di diritto naturale sostenute dalla dottrina cattolica”. Nel dopoguerra, come si sa, Pende fu prima esonerato dall’insegnamento, ma il suo nome tornò nella discussione pubblica, fino ad essere oggetto in una seduta di governo di una disputa tra il colpevolista Manlio Brosio, liberale e ministro del governo Parri, e Alcide De Gasperi, il quale aveva avuto una lettera in favore di Pende dal commissario dell’Unione delle Comunità ebraiche, Giuseppe Nathan. Processato dalla Commissione universitaria per l’epurazione, presieduta dal famoso storico antifascista L. Salvatorelli, fu prosciolto dalla Suprema Corte di Cassazione della Repubblica da tutte le accuse, in via definitiva.  Nella sentenza è detto pure che la sua adesione al fascismo aveva lo scopo di ottenere dal Capo del Governo i mezzi necessari per la sua opera scientifica. Dobbiamo riaprire il caso e fare un nuovo processo a Pende? In base a quali nuovi elementi? Questi sono i dati documentali ed incontrovertibili: bisogna ricordare che i personaggi storici vanno sempre inquadrati nel contesto storico in cui sono vissuti e si sono formati. La storia si fa sui documenti e non sulle illazioni ed accuse diffamatorie, dettate soprattutto da partigianeria politica! E poi le due medaglie d’oro in epoca repubblicana, assegnategli dal Presidente della Repubblica Gronchi, come benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte, e dal ministro della Sanità Giardina, per merito della Sanità Pubblica, non significano niente? Pende è stato il caposcuola di un nuovo indirizzo medico filosofico, che lui chiamò ippocratico-tomistico, che studiava la persona nella sua unità psico-somatica, e indivuò 5 tipi umani, chiamati biotipi, con caratteristiche proprie, da tener presenti nel campo medico, psicologico e pedagogico. Per quanto riguarda il fatto specifico della cancellazione a Bari di Via Nicola Pende è un’offesa per gli amministratori baresi che scelsero  nel 1976 questa intitolazione: sicuramente avranno avuto i loro buoni motivi per farlo, considerando i meriti di Pende. Quando si discusse per l’ennesima volta lo stesso problema una quindicina di anni fa, in una pagina della Gazzetta del Mezz. Marcello Veneziani[5] si espresse così: “Pende è un grande scienziato e va valutato per quello che è: nella vita di un uomo può esserci qualche nota oscura”, Anche Giuseppe Vacca non si mostrò propenso a cambiare il nome della  strada barese, perché la toponomastica fa parte della cultura di una città e se decisa da organi di rappresentanza democratica, non va mai cambiata, altrimenti si darebbe il via inevitabilmente ad una ininterrotta catena di revisioni ad ogni mutamento di maggioranza politico-amministrativa.

   Quando Pende morì a Roma l’8 giugno 1970, l’amministrazione capitolina proclamò una giornata di lutto cittadino[6]. In conclusione il nome di Pende rimane nella storia come fondatore e primo rettore dell’Università di Bari, come scienziato, clinico e caposcuola dell’endocrinologia e più volte candidato al Nobel, che grazie alle tante scoperte importanti nel campo della medicina ha salvato la vita a tante persone.  La decisione dell’Amministrazione Comunale barese ha tutto l’aspetto di un processo sommario ed antidemocratico: è stata ascoltata solo l’accusa, mentre è mancata soprattutto l’istruttoria, per reperire ed esaminare la documentazione necessaria, atta ad formulare un giudizio ponderato ed equo.

                                                        Michele Sforza

 

[1] Il Ricci nelle sue memorie racconta tutti i particolari della seduta in cui i dieci  discussero del testo del Manifesto e nel dopoguerra fu proprio la sua testimonianza a salvare Pende e Visco dal  processo di epurazione.

[2] G. ISRAEL-P. NASTASI, Scienza e razza nell’Italia fascista, Il Mulino Bologna 1998, p. 221

[3] Per sfuggire alla persecuzione nazifascista, aiutato dagli amici del Vaticano si rifugiò col figlio Vito nella Basilica di S. Paolo a Roma (vedi l’art. di Dino Messina sul Corriere della sera del 15 febbr.2007 .”N. Pende, lo strano caso della firma fantasma”.

[4] DESIDERI, Storia e storiografia, ed. Dell’Anna p. 648

[5] Gazzetta del mezzogiorno 26.01.06

[6] Vedi art. di G. DE TOMMASO, Pende, chi si ferma è perduto, in Gazzetta del Mezzog. del 4 febbr. 2006 p. 2

 

 
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 Benvenuti a Noicattaro

l centro storico del paese sorge in prossimità della diramazione della Via Traiana che congiungeva Brindisi e Benevento, proseguendo poi sino a Roma sul tracciato della Via Appia. Forse era la Via Minucia o, secondo l'interpretazione di alcuni autori, la mulattiera ("mulis vectabilis via") citata nelle opere di Strabone, Orazio e Cicerone; un'antica via peuceta che in epoca romana finì per coincidere con il tratto interno della via Traiana, quella diramazione che dopo la biforcazione di Bitonto si dirigeva verso Egnazia e Brindisi attraversando il territorio degli attuali centri di Modugno, Ceglie del Campo, Capurso, Noicàttaro, Rutigliano e Conversano.

Il tratto litoraneo della Via Traiana lambiva altri insediamenti nei luoghi dove oggi sorge Torre a Mare.

Nella fascia costiera del territorio di Noicàttaro sono state rinvenute tracce della presenza umana risalenti in alcuni casi al Neolitico; invece nell'entroterra, verosimilmente lungo il tracciato dell'antica viabilità, sono state scoperte necropoli risalenti ad epoca preromana, fra le quali la sepoltura di un guerriero databile intorno al VI secolo a.C.; il prezioso corredo funerario scoperto è conservato nel museo archeologico di Bari.

Il paese attuale nasce tra l'XI e il XII secolo come piccolo villaggio ("Locus Noa") cinto da mura e protetto da una torre feudale e da una chiesa, attorno alla quale si disponevano le abitazioni.

Le prime tracce di "Noa" negli antichi documenti risalgono al X secolo ed è difficile pensare che il nuovo villaggio non abbia fornito rifugio agli abitanti degli insediamenti preesistenti sulla costa ed anche della vicinissima "Azetium", tutti distrutti dai predoni saraceni dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Per quanto Azetium sia ritenuta la progenitrice dell'attuale comune di Rutigliano, essa sorgeva in prossimità di Noicàttaro, in contrada Castiello, sul ciglio del torrente Lama Giotta, ed era contornata da una possente cinta muraria circolare le cui tracce si distinguono tuttora nelle mappe satellitari.

È possibile rintracciare testimonianze riguardo al primo Signore di Noa, Goffredo di Conversano, un normanno nipote di Roberto il Guiscardo. Cornelio de Vulcano è il primo conte di Noa. Nel 1592 il feudo fu acquistato dai Carafa, ramo della Stadera, che mantennero il titolo di duchi di Noja fino alle leggi eversive della feudalità del 1806. Il titolo nominale di conte di Noja passò alla famiglia spagnola Perez Navarrete e alla discendente famiglia Longo de Bellis di Napoli.

Nei secoli, forse per un influsso spagnolo, andò consolidandosi la tradizione della penitenza e della flagellazione quaresimale, elementi tuttora vivi nei riti della settimana Santa noiana. Il 23 novembre del 1815 moriva un giardiniere chiamato Liborio Didonna: si trattava della prima vittima di una devastante epidemia di peste bubbonica che sarebbe passata alla storia come l'ultimo, grande episodio dell'intera Europa occidentale. L'intero paese fu isolato dai limitrofi mediante lo scavo di un enorme solco al di là dei suoi confini. Alla fine del contagio si contarono quasi 800 morti su una popolazione di 5000 abitanti.

In segno di rinnovamento dopo l'Unità d'Italia e per evitare l'omonimia con un comune lucano (che a sua volta mutò il proprio poleonimo in Noepoli), il paese cambiò nome (23 ottobre 1862) da Noja (l'antica Noa) in Noicàttaro. In quest'occasione una delibera del Consiglio Comunale, sulla base della lontana e accreditata tradizione orale, ricorda la terra primigenia sul mare, la leggendaria Cattaro pugliese, fondendo nel neologismo i due nomi di Noja e Cattaro.

Resta ancora molto vivo nei cittadini il ricordo del vecchio toponimo del paese: infatti nel vernacolo locale Noicàttaro è "Nào" e gli abitanti si dicono "Nojani".

Nel 1934 la fascia costiera del territorio del comune di Noicàttaro, corrispondente all'attuale Torre a Mare, venne annessa al comune di Bari.


Il centro antico nojano ha la conformazione di un cuore, ed è tutto raccolto intorno alla Collegiata di Santa Maria della Pace (chiesa matrice). Il centro è caratterizzato da stradelle e viuzze, scale esterne e camini in muratura che svettano verso l'alto. Le abitazioni, costituite da un'architettura molto povera, sono in pietra viva o tufo per la maggior parte si sviluppano sotto il livello stradale. Ogni tanto l'intrico di stradine si apre in piccole piazze (Largo Pagano) e inoltre non passano inosservate le innumerevoli edicole votive, simboli di un popolo molto devoto ai propri santi. Da menzionare tra queste edicole votive quella della Madonna delle Grazie, che dà il nome all'omonimo rione. Sempre nel rione della Madonna delle Grazie è da ammirare un'abitazione impreziosita da una bifora a sesto acuto finemente lavorata in pietra.

Piazza Umberto I, la più importante della cittadina, non ha più la sua forma originaria a causa di una ristrutturazione, che comportò nel 1973 l'abbattimento di alcuni palazzi storici e la distruzione di una chiesa cinquecentesca (Santa Maria del Soccorso). Attualmente in piazza si possono ammirare la torre dell'orologio (1832), la chiesa di Maria SS. Immacolata detta anche "dei Foresi", il portale d'ingresso e quello delle scuderie del castello e un'edicola votiva finemente lavorata con stucchi e adornata da una piccola balconata dov'è presente una statua in cartapesta della protettrice del paese. Proseguendo per via Oberdan sulla sinistra è situata l'unica fontana ornamentale del paese, detta delle Testuggini.

 

Tratto da: wiki.wikimedia.it
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