Il cielo plumbeo fa da calotta alla quiete di cristallo: il duello è annunciato dalla prima lirica. La magia di questi versi è nella pietricazione luminosa e numinosa di paesaggi quotidiani, immobilità metafisica da lucertola al sole con fatalismo ineluttabile pirandelliano, e nello stesso tempo nella ricerca dinamica fra gli anfratti del muro screpolato dell’ovvietà quotidiana. Le cose e le sensazioni si stagliano dalla pagina con profondità di immagine interiore e con scavo implacabile sulla mappa dei sentimenti grazie anche alla creatività poietica, cioè di artigianato artistico, Kunstwerk, dell’autrice che forgia e conia neologismi ed assonanze che riescono ad arabescare l’atmosfera. Fra gli esempi più avvincenti, e coinvolgenti, il sogno che scorre come calda sabbia dietro il sorriso squarciato del geranio ridanciano: dinamismo, colore, sensazione. La dimensione onirica acquista tattilità sfuggente col senso di calore della partecipazione fino a lasciare le dita vuote per riprendere la realtà del verseggiare. La simbiosi si ripete in altri esempi di grande forza espressiva (Ho intinto più volte i miei occhi / nel calamaio della solitudine disperante) fino alla fuga del pianoforte che rompe la prigionia del pentagramma dell’ovvio e del tradizionale. La luna, da sempre fedele compagna dal “kai mona kateudo” dei tempi classici, in queste poesie offre invece Vimmagine più dolorosa sopra la crocifissione della staticità del quotidiano che ha il suo “chiodo” anche nella dimensione notturna che è quella mantica del sogno: hanno tranciato le dita alla luna. Tranciato, non tagliato: amputazione meccanica, impersonale. Le tronchesi non sono forbici, sono chele di insensibilità. Molti i riferimenti alle tematiche sociali dalla religione alla pedagogia specializzata che però l’autrice lascia sapientemente saggiamente sotto “pesanti tendaggi”, ed altri riferimenti, anche per non far rientrare la quotidianità con i suoi artigli dalla finestra dopo essere stata avviata all’“azzurro” dei sogni dalla porta spalancata della poesia. Fra i versi, anche nel giuoco del destino dei nostri travestimenti nelle relazioni interpersonali in famiglia e fuori, un invito quasi tirtaico ad un recupero di dignità ai chiasmi di ogni emigrazione, geografica o psicologica: dal torsolo di una mela bacata / l’anatema di una nuova postazione.
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