Quale rilievo, poi quale incidenza e per ciò stesso quale funzione può aver assolto la cultura popolare nella nostra comunità sul finire del '700? A questa non semplice querelle ha tentato di offrire una prima, quanto convincente risposta Angelo Fanelli nel suo recentissimo "Libro di secreti veri: un ricettario conversanese del Settecento" Arti Grafiche Scisci, Conversano 2006. L'illuminante saggio ch'è premesso alla pubblicazione del "codicetto" ("i secreti" cui fa riferimento indicano ciò che è nascosto nella natura e poi colpevolmente dagli uomini stessi e che s'impone per sottrarsi all'occhiuto controllo del 'potere') dimostra che l'inedito manoscritto fonda il suo 'sapere' - essenzialmente medico, ma poi anche domestico e quindi poi pure culinario - sulla somma delle conoscenze acquisite dall'esperienza popolare. Ma rileva, altresì, come gli stessi rimedi - che il manoscritto custodiva e quindi di fatto offriva a chi ne aveva pressante necessità - permettono di cogliere l'industriosità e la millenaria saggezza accumulata dalla cultura subalterna della nostra comunità. Così, se per un verso il "Libro di secreti veri" si presenta come un ricettario per por rimedio ai più incalzanti affanni che angustiavano un'intera collettività che lottava per la propria sopravvivenza, per altro ci squaderna uno spaccato significativo della cultura popolare che s'era affermata in Conversano sul finire del '700. E così la lettura del "Libro di secreti veri" ci rivela o fa intuire credenze più o meno diffuse; dettagli di singolari mentalità quindi poi pure caratteristiche tipiche di costumi e/o pregiudizi d'indole generale che filtrano, per l'appunto, tra e da i suggerimenti e i singoli rimedi che generosamente si ricavano dal "Libro dei secreti veri". Insomma, letto tra le righe, il codicetto ci fa inoltre intuire le ragioni che determinano l'insieme degli atteggiamenti, delle tendenze e delle opinioni di un gruppo sociale e quindi i modi differenti di considerare il mondo che lo fanno contrapporre alla cultura dei ceti dominanti; per ciò ci rivela anche i costumi, le credenze e poi parte degli stessi pregiudizi su cui si fonda la "saggezza" ch'è, per l'appunto, compendiata nel "Libro dei secreti veri". Di fatto il codicetto che custodisce "Libro dei secreti veri" propone un modello di cura e/ o di cure diverse, se non proprio contrapposte, a quelle ufficiali. Ci permette, per ciò, di sondare quanto e come questo modello culturale subalterno derivi da quello egemone, oppure se ne diversifichi o come, d'altro canto, questi due mondi, apparentemente contrapposti, possano essersi influenzati a vicenda. Il manoscritto che contiene il "Libro dei secreti veri" ci offre, comunque, anche un suo altro insieme di caratteri - parimenti distintivi - da decodificato. Com'è noto ciò che, tra l'altro, connota la trasmissione della saggezza o dei saperi popolari è che questi sono, di norma, affidati alla loro trasmissione orale. Perché, quindi, Nicola Sciorsci (l'autore del manoscritto che ci viene offerto in un'edizione che si vale della consueta cribia filologica di Angelo Fanelli) ha avvertito la necessità di affidare ad un libretto di auree ricette alcune perle della cultura subalterna conversanese, addirittura infrangendo una regola non scritta? Una delle ipotesi che si può formulare per spiegare l'escamotage cui ricorre Nicola Sciorsci è, forse, la seguente. Come si sa nell'alto medioevo - a stare a quanto racconta Iduino abate di St. Denis - si attribuiva pure ai libri la facoltà di fare miracoli. Il libro miracoloso - cui fa riferimento l'abate di St Denis - era stato un manoscritto greco che conteneva le opere dello Pseudo Dionigi l'Aereopagita (l'attuale codice Parigino greco 437). Il libro depositato nell'abbazia di St. Denis operò, infatti, diciannove guarigioni. Ma al di là della leggenda, quel che riteniamo debba tenersi maggiormente in conto è il ruolo di mediazione taumaturgica che venne affidato ad un libro. Quindi anche Nicola Sciorsci, assegnando al suo "Libro dei secreti veri" il compito di custodire, per il futuro, il ricettario dei rimedi di cui era depositario, forse, intendeva consegnargli anche il compito taumaturgico che, nel passato, avevano avuto i libri. La nostra non parà un'ipotesi cervellotica sol che si ponga mente ad un dato di fatto che si ha leggendo, non ingenuamente, "Libro dei secreti veri". Da una serie non modesta d'indizi si arguisce, infatti, che Nicola Sciorsci proviene da un ambiente semialfabetizzato e che Nicola è poi attento non solo alle suggestioni della precettistica medica popolare quant'anche è in grado di cogliere i non modesti elementi di un diffuso sapere letterario che circolava nel suo ambiente. Insomma il "Libro dei secreti veri" - a saperlo interrogare criticamente come merita- ci offre, com'era d'altro canto prevedibile, non solo un primo ritratto del mondo subalterno della nostra comunità di fine 700 (che altrimenti non avremmo potuto più ricostruire - sia pur nelle sue linee essenziali) ma ci propone anche motivi ben più ampi di riflessione che vanno, ovviamente, oltre la mera decodificazione di alcune sue questioni demo-etno-antropologiche. Meritano, al termine di questa nostra segnalazione, almeno un cenno, gli apparati paratestuali di cui é stata, opportunamente, arricchita la pubblicazione che ha curato Angelo Fanelli. Angelo Fanelli ha, infatti, posto di seguito all'edizione filologica del codicetto: un glossario medico, che è insostituibile per leggere correttamente i contenuti del "ricettario"; poi vi ha aggiunto un prezioso indice degli argomenti trattati e infine, sin anche, un indice sistematico. Quanto mai impagabile si rivela - pure per questo quinto numero dei "Crescamus" - altresì anche la cura che ha posto nell'impaginazione grafica e nella riproduzione delle illustrazioni: Leonardo Brescia. E' stata accolta, infine, con questo "Creascamus" una nostra precedente raccomandazione. Un'intera pagina del quinto quaderno dei "Crescamus" è stata dedicata a ricordare i numeri già editi nel recente passato. Ma manca ancora, a nostro avviso, l'indicazione del loro prezzo e presso chi si può, eventualmente, acquistarli. Riteniamo, inoltre, che non sarebbe del tutto inutile indicare quali saranno i titoli della collana che stanno per essere editi. O che i direttori dei quaderni si propongono di pubblicare, nell'immediato futuro. I "Crescamus", oramai, costituiscono una nota felice nel desolato panorama culturale cittadino, quindi destano nuove e legittime aspettative che non devono, per l'appunto, essere frustrate. In proposito ci permettiamo quindi di consigliare ad Angelo Fanelli e a Vito Castiglione Minischetti, direttori della collana, di provvedere, sin d'ora, a segnalare - nei modi che riterranno più opportuni - la possibilità di poter prenotare - indicandone, altresì, contenuto, pagine e prezzo - il prossimo numero dei "Ceescamus". Dato il successo di stima che oramai circonda la loro qualità, la "prenotazione per l'acquisto certo" potrebbe assicurar loro un vita più lunga di quella che sin d'ora è facile pronosticare.
|