La Pinacoteca del Castello di Conversano Memoria storica
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Presentazione
    
 

Ci sono mille ragioni che mi invogliano a presentare questa «memoria storica» di Matteo Fantasia: la stima per l'uomo politico che governando per decenni prestigiose istituzioni, ha conseguito lusinghieri successi soprattutto in campo storico-artistico; il rispetto per l'appassionato e valoroso cultore di memorie patrie; la profonda amicizia che ci lega ininterrottamente da circa quarant'anni, la riconoscenza per chi in tempi lontani e non sospetti ha riposto piena fiducia in me, allora giovane di belle speranze, ma ancora illustre sconosciuto. E mi piacerebbe continuare, magari richiamando alla memoria fatti intesi a testimoniare il comune impegno e la comune passione con cui furono vissute le vicende che condussero, intorno alla metà degli anni '60, alla «Mostra dell'arte in Puglia» e successivamente alla rifondazione della Pinacoteca Provinciale di Bari. Eppure così facendo mi sembra di assumere un atteggiamento riduttivo e non adeguato nei confronti dell'autore e del suo saggio che è da considerare un importante contributo alla storia del collezionismo in Puglia e nell'Italia Meridionale.


Nella premessa l'autore dichiara apertamente i suoi intenti: - far luce, attraverso una serie di documentazioni inoppugnabili, sulle dolorose vicende che condussero, verso la fine degli anni '30, all'alienazione di buona parte dei locali del cosiddetto castello e alla dispersione della ricchissima biblioteca, della preziosa collezione d'arte e di tutti gli arredi che adornavano il piano nobile del palazzo dei Conti di Conversano.
- Rivalutare la figura del prof. Domenico Ramunni che di quelle vicende fu valoroso quanto sfortunato protagonista. - Stimolare l'Amministrazione Comunale a proseguire nell'opera di recupero dei dipinti, degli incunaboli, degli arredi di casa Acquaviva e Ramunni e ad acquisire al «pubblico godimento» gli ambienti del Castello destinati da sempre ad accogliere le preziose raccolte d'arte dei conti di Conversano. - Dulcis in fundo, intitolare il Museo Civico alla memoria di Domenico Ramunni.


Ma se l'interesse primario dell'autore, come più volte viene ribadito, verte sulla storia delle collezioni d'arte, dall'età di Giangirolamo fino ai nostri giorni, importanza non secondaria nell'economia della ricerca, assume la storia del Castello e dei suoi prestigiosi inquilini, le cui fortune appaiono indissolubilmente legate a quelle della pinacoteca.


Forse di qui l'esigenza da parte dell'autore di organizzare la complessa materia del discorso in tre capitoli: il Castello di Conversano e gli Acquaviva di Aragona, i Ramunni, la Pinacoteca.


Senza nulla togliere alle ipotesi ragionevoli proposte da Matteo Fantasia circa l'origine di Conversano la storia e la fondazione del Castello e le vicende dei Feudatari che lo elessero a loro dimora, i risultati più pregnanti della ricerca scaturiscono dall'esame analitico e documentato degli avvenimenti che investono il palazzo e le sue collezioni a partire dal 1856, allorquando il Conte Carlo Acquaviva d'Aragona cede al Canonico Francesco Ramunni, attraverso un contratto di enfiteusi, il Castello di Conversano con tutte le sue pertinenze.


Da questo momento purtroppo la situazione precipita. I tentativi di arginare il degrado, già avanzato, di questo immenso patrimonio monumentale e storico-artistico da parte dei nuovi proprietari, non sortiscono gli effetti desiderati. Il canone annuo da corrispondere agli eredi Acquaviva d'Aragona è piuttosto elevato ed assai onerose sono le spese per la manutenzione e le migliorie degli immobili e degli arredi come impone il contratto di «enfiteusi».


Per far fronte a queste difficoltà comincia a farsi strada, nella famiglia Ramunni, l'idea di alienare alcuni ambienti del Castello e si saggia la possibilità di valutare economicamente l'intera collezione dei dipinti ormai ridotti a poco più di una settantina rispetto alle 495 opere documentate nell'inventario del 1666.


Sembra di intravedere schiarita allorquando, nel 1908, la proprietà passa nelle mani del prof. Domenico Ramunni, un dotto gentiluomo animato dalle migliori intenzioni che si dedica al recupero dell'immobile, al restauro e all'arricchimento delle collezioni.


Nel 1919, con un atto d'orgoglio, «rinfranca il canone enfiteutico dovuto agli eredi d'Aragona» e provvede subito, per far fronte all'ingente spesa sostenuta, ad alienare alcuni locali del complesso monumentale. Ma gli introiti non appaiono sufficienti a sanare una situazione debitoria che intanto aveva raggiunto limiti intollerabili.


Comincia da questo momento per il nostro sfortunato eroe un periodo drammatico e angoscioso che durerà sino alla fine dei suoi giorni. Il dubbio prima e la convinzione poi della impossibilità di tenere in vita questo enorme ma improduttivo patrimonio di storia e di arte suona come il fallimento dei suoi ideali giovanili. E a proprie spese impara che riportare il Castello e le sue collezioni ai fasti di Giangirolamo II è un sogno irrealizzabile. Ma se questo valeva per il singolo, ben altre prospettive si sarebbero potute aprire se l'onere fosse stato assunto dall'Ente pubblico e i tempi sembravano propizi.


Quello che segue, con i reiterati e inutili tentativi di cessione delle collezioni e degli ambienti che le ospitavano al Comune, alla Provincia e al Ministero dell'Educazione Nazionale tramite le Soprintendenze, fa parte della storia infinita delle occasioni mancate da parte della Pubblica Amministrazione nel Sud.


Fallito l'ultimo generoso tentativo di acquisizione da parte del podestà Luigi Izzo, nel 1939 l'intera collezione viene venduta al conte Manzolini, nonostante gli sforzi del Sovrintendente Barbacci di far valere il diritto di prelazione da parte dello Stato. E dalla villa Manzolini sulla via Cassia dopo circa quarant'anni non torneranno che le dieci tele con scene della Gerusalemme Liberata, riacquistate fortunatamente grazie agli sforzi congiunti, una volta tanto, degli stessi Enti: il Comune, la Provincia di Bari, la Regione.


Questa vicenda che abbiamo qui ripercorso per grandi linee, viene narrata da Matteo Fantasia attraverso la minuziosa analisi di un nutrissimo materiale documentario raccolto in anni di ricerca presso archivi pubblici e privati e pubblicato integralmente in Appendice.


Il testo rappresenta quindi, senza dubbio, un notevole contributo di conoscenze, prezioso per la storia della collezione Acquaviva d'Aragona, a sua volta esemplare delle amare sorti del collezionismo meridionale.
Anche su questo argomento molto rimane ancora da dire e più d'una sono le domande che attendono una risposta. Come e quando si è formata la raccolta, quali nomi di pittori si potrebbero aggiungere tra quelli già identificati? E soprattutto, dove sono finiti gli oltre quattrocento pezzi elencati nell'Inventario del 1666 ma che non figurano più all'inventario Ramunni? La ricerca si dovrebbe spostare a Napoli o anche nei centri pugliesi periferici e non, già parte del feudo e nei quali rimangono famiglie nobili legate per via di matrimoni agli Acquaviva e palazzi inesplorati.


Questo potrebbe essere una traccia per futuri studi che si avviassero sulla via già buttata da decenni dal Centro Ricerche... Ma non basta. Come lo stesso Matteo Fantasia evidenzia a conclusione del suo pregevole lavoro, il nodo della questione è il recupero del Castello alla fruizione pubblica e il ritorno di quanto rimane della collezione Acquaviva nella sua sede originaria. L'attenzione al problema non deve allentarsi, la tensione deve crescere e coinvolgere le istituzioni e l'intera cittadinanza, convogliandone le energie verso il raggiungimento di un obiettivo che oggi finalmente troverebbe tutti concordi. È quanto invoca Matteo Fantasia, e quando auspicano coloro che, come noi, per decenni hanno creduto in Conversano e nelle forze generose che è capace di esprimere oggi come tanto tempo fa.

Michele D'Elia
Scheda bibliografica
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Autore Matteo Fantasia
Titolo La Pinacoteca del Castello di Conversano Memoria storica
Editore Grafica Scisci - Conversano
Prezzo s.p.i
data pub. marzo 1994
In vendita presso: Centro Studi "M. Fantasia"
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