Felèscene
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Prefazione

  
Felèscene
Raccolta di poesie in vernacolo molese

Credo che nel clima attuale di recupero, talora frenetico, delle tracce del passato, sia superfluo aggiungere un'altra testimonianza sui meriti di chi s'impegna a restaurare uno dei più tipici, e insieme dei più labili e deperibili valori qual è l'espressione dialettale. Negli ultimi decenni l'operazione è stata valorizzata a tal punto da creare perfino perplessità e timori, e suggerire d'altro canto precisazioni e rettifiche, quasi a fugare il sospetto che la difesa del patrimonio dialettale potesse nascondere consapevoli o inconsapevoli nostalgie conservatrici. Ingenue, o astute, preoccupazioni di coloro che identificano la conservazione con le forme del passato, per non riconoscerla invece in ciò che sembra precipitosamente cambiare, e che in fondo non fa che affrettarsi a ristabilire sotto nuove forme il peggio del mondo di sempre.

Se dunque non è necessario spendere parole per ribadire l'importanza culturale del recupero conoscitivo del dialetto sul piano scientifico, forse proprio la consapevolezza che quell'interesse non possa che risolversi in conoscenza storica di una realtà destinata a scomparire, alimenta il dubbio sul recupero del dialetto in quanto strumento attuale di espressione. Ma il problema non è ovviamente quello di stabilire se incoraggiare o scoraggiare una tendenza, quanto quello di capire perché quella tendenza si sia manifestata, e rendersi conto della sua effettiva entità. Questo significativo dissolversi della remora borghese verso il dialetto viene forse a ridosso dello spegnersi del mito nazionalistico, ed è quindi il segno di una maturazione civile, o deriva semplicemente dal venir meno di una unità civile, che con tutti i suoi indubbi difetti aveva guidato lo sforzo risorgimentale? o è il sintomo di un reale indebolimento della cultura dialettale, sicché, divenuta innocua, può anche essere adoperata come trastullo del benessere borghese? E il rinnovato interesse per l'espressione dialettale, il rammarico per la perdita della sua consistenza più arcaica, lo sforzo di ritrovarne le tracce piú intatte e genuine, vanno ricondotti alla riscoperta della sua validità, o alla civetteria dei riesumatori di oggetti preziosi? in un'epoca, oltre tutto, che ha ripreso la via estrosa dell'antiquariato?

Sono domande provocatorie, che vogliono tuttavia soltanto riflettere il disagio di fronte ad un fenomeno, che è difficile valutare nella sua consistenza e perfino nel suo più autentico senso. Nella complessità di motivazioni, forse tutte per un verso ed in parte vere, io non mi sentirei di condannare quella che è parsa una delle più speciose ragioni di accreditamento del dialetto, come la lingua di un mondo idillico e sfortunatamente perduto. Non perché si possa effettivamente sostenere una tale visione mitica, ma perché fra le più interessanti ragioni del ritorno, o almeno dell'attenzione rivolta al dialetto, vi è certamente quell'illusione, che vale positivamente in quanto rispecchia un rifiuto salutare della lingua come menzogna e mistificazione, del parlare civile come appiattimento tecnologico della comunicazione verbale. Non che il dialetto sia, di per se stesso, un antidoto a certi meccanismi degenerativi della lingua, che anzi può divenire perfino anch'esso uno strumento di banalità; ma, assunto in senso polemico verso la lingua standardizzata, può costituire, come ogni deroga alla consuetudine, un fatto dinamico e dirompente. In tal caso esso non è ritorno, o meglio è un ritorno come lo è ogni forma genuina di aspirazione al rinnovamento.

Per chi ha vissuto, come me, nella prima fanciullezza gli ultimi sprazzi di quel deteriore nazionalismo che aveva mortificato il dialetto, ma anche il buon italiano, mediante l'oratoria dei vecchi maestri di scuola, e che non ha avuto alcun incentivo a familiarizzarsi con la lingua del luogo natio, il non aver avuto come prima lingua il dialetto non può che rappresentare l'occasione perduta di affondare stabilmente le radici nella propria terra. Eppure, proprio questo rammarico, proprio il ricordo di quei suoni, che ci si era abituati a sentire come sgradevoli o semplicemente comici, può alimentare ora, e in parte soddisfare, specialmente quando si è sommersi dall'esperienza della letteratura, il bisogno di una voce alternativa a tanta stereotipata italianità.

Ma mi accorgo di aver quasi dimenticato che in questo libro l'incontro col dialetto del mio paese natio è avvenuto entro l'orizzonte della poesia, che in sostanza finisce col dissolvere la materialità propria del vernacolo: la scelta dialettale è in questo caso, come in ogni caso, la scelta di un registro poetico. Sofferenza e risentimento dell'umile, saggezza popolare e malinconia: c'è tanto del paese che io conosco, ma anche tanto del mondo che ogni poesia ci ha fatto conoscere.
Francesco Tateo
Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia di Bari
Scheda bibliografica
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Autore Abatangelo Antonio
Titolo Felèscene
Editore edizioni dal sud
Prezzo € s.p.i.
data pub. dicembre 1983
In vendita presso:
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